Dal calo dei rendimenti un dividendo di 10 miliardi Riparerà i danni della recessione
ROMA – Il superamento della «fase acuta» della crisi, come l’hanno definito Mario Monti e Angela Merkel martedì a Roma, potrebbe fare emergere un “dividendo” dello scampato pericolo. Chiusa con lo swap dei bond ellenici l’emergenza Grecia e messi in sicurezza in conti pubblici italiani, lo spread, il terribile divario di rendimento tra i Btp e i Bund tedeschi, è tornato sotto la fatidica quota 300 e, secondo Maria Cannata, la funzionaria del Tesoro che ha gestito in questi due lunghi anni la crisi del debito, potrebbe andare anche più giù, a quota 180. «Come a giugno, prima del delirio», ha detto. «Fino a quel livello – ha aggiunto – si può tornare tranquilli senza colpo ferire. Abbiamo tanto da riguadagnare, oggi sinceramente altri 100 punti base possono andare via tranquilli».
Cambierà qualcosa sui nostri conti pubblici? E’ possibile di sì. Anzi un dividendo di 10-12 miliardi sembra già in vista, anche se per buona parte è già ipotecato dalla recessione. Per capire come stanno le cose, bisogna andare a vedere gli stanziamenti per la spesa per interessi previsti dal governo per il 2012. Nel settembre dello scorso anno, quando ancora c’era Berlusconi e lo spread aleggiava pericolosamente a quota 400, il ministro del Tesoro Giulio Tremonti nella “Nota di aggiornamento” al Documento di economia e finanza, fissò la spesa per interessi in 85.806 miliardi. Successivamente le cose precipitarono: il 9 novembre lo spread raggiunse la quota-record di 575 punti: pochi giorni dopo, il 13 novembre, Napolitano incaricò Monti di formare il nuovo governo. Nuova manovra, forti tagli e tasse, conti pubblici bloccati, ma anche – per prudenza – più fieno in cascina per pagare gli interessi. La nuova “Nota di aggiornamento” al Def destinò 8,4 miliardi in più al pagamento degli interessi sull’enorme debito pubblico italiano: la somma salì a 94.214 miliardi, pari al 5,8 per cento del Pil. Per il 2013, addirittura, si superarono i 100 mila miliardi.
Ora che la bufera sembra passata, almeno nella sua fase acuta, quegli accantonamenti risultano in eccesso. Stando ai dati di una proiezione del Cer, realizzata da Antonio Forte, la spesa per interessi quest’anno sarà assai inferiore, circa 81,6 miliardi, dunque emergerebbe un’eccedenza di 12,6 miliardi. Questa stima della spesa per interessi considera uno spread a quota 300, un tasso dei Btp al 5,3 per cento, un tasso medio di tutte le scadenze dei Bot al 2 per cento. E’ dunque relativamente prudente.
Si tratterebbe di un risparmio enorme, ma guai a chiamarlo “tesoretto”. Molti di questi soldi sono già ipotecati. Il problema è infatti la bassa crescita, ovvero la recessione che investe l’Italia quest’anno: secondo la Commissione europea il Pil subirà una contrazione dell’1,3 per cento, mentre il governo ha messo in conto una riduzione dello 0,4 per cento. Una bella batosta che ridurrà naturalmente le entrate fiscali, a cominciare dall’Iva per continuare con Irpef e Ires: approssimativamente un punto in meno di crescita del Pil dovrebbe provocare un aumento del deficit di mezzo punto, cioè di circa 8 miliardi. Così i risparmi che verranno dalla spesa per interessi se ne andranno per compensare il mancato gettito fiscale.
Resteranno comunque circa 2-4 miliardi, almeno stando ai primi calcoli. Sull’utilizzo, qualora venissero confermati, il dibattito è aperto: si va dagli ammortizzatori sociali (la cosiddetta «paccata» di soldi), alla sempre più richiesta azione di sollievo fiscale sui redditi medio bassi, fino alla sterilizzazione del previsto aumento dell’Iva fissato per ottobre. Il dividendo dello scampato pericolo comunque ci sarà .
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