Da Toto Cutugno a Buffon via gli spot sull’azzardo
Anche il calciatore del Palermo Miccoli e il corridore Fisichella sono, a prima vista, ben più truci di quella birichina che dentro una vasca da bagno colma di schiuma, annuncia: “Se oggi faccio sei/ realizzo i sogni miei”. Certo, nessuno si rovina con il Superenalotto, mentre è un’emergenza sociale quella droga ipnotica che nella sola città di Napoli coinvolge 85mila famiglie, consegna alla pubblica assistenza più giocatori intossicati, instupiditi e alleggeriti, che cocainomani. E si tratta anche di ragazzini e vecchiette, insospettabili che mai varcherebbero la soglia di una bisca. Dieci anni fa gli italiani spendevano in gioco d’azzardo legale 4 miliardi. Nel 2011 hanno speso 76 miliardi: quasi venti volte di più. E una percentuale va allo Stato biscazziere.
Il Superenalotto invece è interamente gestito dal governo, attraverso la Sisal. Ed è molto sapiente e dunque molto vile lo spot dello Stato che, è vero, non ti rovina, ma ti svuota le tasche, ti alleggerisce anche degli spiccioli e ti convince pure, vilmente, con la familiare canzone di Toto Cutugno, che se non vinci sei solo sfortunato e devi dunque riprovarci mentre gli studiosi di aritmetica probabilistica dicono che è più facile essere colpiti da un fulmine che fare 6 al Superenalotto.
Ma sagacemente gli esperti di marketing parafrasano le strofette di Cutugno e “l’italiano con la schedina in mano” sostituisce il già miserabilino “italiano con la chitarra in mano”. Dunque questo nuovo italiano, malgrado l’allegria delle immagini, disperatamente affida le proprie speranze non allo studio e al lavoro, ma alla schedina appunto.
Nel dopoguerra, il tredici al totocalcio, “la schedina”, fu la fuga e la soluzione di un’Italia drammatica e sofferta: “l’italiano con la smorfia in mano” si aggrappava al sogno non per sperare, ma per decifrarlo e farne mercato. La schedina fu la bandiera di un’Italia devastata dalla guerra e dalla miseria, l’Italia senza fiducia ma con le pareti degli ospedali piene di ex voto e i muri delle ricevitorie affastellati di corni di corallo e zampette di coniglio, “occhio, malocchio/ prezzemolo e finocchio”, la febbre da cavallo, la mandrakata di Gigi Proietti, la scommessa impossibile, con i rituali della plebe tarantolata …
Oggi invece nello spot di Stato c’è una passerella di gente normale, non bella ma attraente perché la bellezza tra la gente normale non è la rapacità della Minetti, e “l’italiano con la schedina in mano” non sogna lo yacht di Briatore, non fa girare la patonza e non ha la grinta cafona e rifatta: “Vorrei una vigna per produrci il vino/ io sogno un parco per il mio bambino”. Persino la lussuria è sobria: “Voglio champagne ghiacciato a tutte le ore”. E la mamma non è quella che istruisce la figlia al bunga bunga: “Darò ai miei figli un futuro splendente”.
Ovviamente non c’è la realtà delle lacrime della Fornero che sono le lacrime del sacrifico. E invece: “Un milione a Giulio, un milione a Maria” che è un invito nel Campo dei miracoli: “Pensaci bene, Pinocchio, perché tu dai un calcio alla fortuna”. È lo spot dello Stato-gatto e dello Stato-volpe: “Tu fai una piccola buca e ci metti dentro per esempio uno zecchino d’oro … e trovi un bell’albero carico di zecchini d’oro”.
Ha dunque ragione il sindaco di Genova Marta Vincenzi che non vuole la pubblicità del gioco d’azzardo nella sua città e hanno ragione la lega antiusura, il cardinale Bagnasco e il ministro Riccardi che evidentemente ha un fiuto speciale per lo schifo. Insomma ha ragione la Chiesa che denunzia “la nuova droga”.
Attenzione però: è una ragione laica. Qui non c’entra il peccato. E il denaro non è mammona. In un Paese tormentato e maltrattato da trucchi finanziari di ogni genere, dai banchieri e dai trafficanti di Borsa, non è certo il caso di vietare il gioco d’azzardo come non si vieta la vendita di tabacco e di alcol. Ma la pubblicità sì, andrebbe vietata. E anche presto. E gli italiani devono sapere la verità : il gioco d’azzardo legalizzato è la terza impresa del Paese, inquinata dalla criminalità che già organizza e gestisce da Nord a Sud le bische illegali e nessuno è riuscito a calcolare quanto denaro ricavi da gioco e scommesse clandestine.
Si sa invece che legalmente ogni italiano spende in media, bambini compresi, 1260 euro a testa in video-scommesse, macchinette mangiasoldi, gratta e vinci, bingo, poker online, e ci sono 800 mila intossicati e più di due milioni di giocatori a rischio per questa malattia sociale – ludopatia si chiama – che è riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ma non dall’Italia. E il bilancio è sempre in attivo perché più cresce la povertà e più ci si affida al gioco d’azzardo che a sua volta incrementa usura e povertà .
La pubblicità deve essere vietata perché non è mai veritiera, e quella frase finale, pronunziata velocemente, “gioca il giusto”, è tanto ipocrita quanto furba. È la beffa che segue e aggrava il danno.
Ci potrebbe essere allora un’altra versione dell’italiano di Cutugno, un altro sogno. Come i parenti delle vittime del tabacco hanno fatto causa ai produttori di sigarette, così i familiari dei malati di ludopatia finiti sul lastrico potrebbero fare causa, per pubblicità ingannevole, alle società che hanno ottenuto le concessioni e allo Stato perché magnificano le conseguenze del gioco spacciando la disperazione per speranza e nascondono i rischi, alla fine invitando pure a “fumare il giusto” che è un evidente ossimoro, l’ultima presa per i fondelli.
Lasciatemi dunque sognare “l’italiano con la coscienza in mano” che dica per esempio a Totti e a Buffon di vergognarsi un poco, loro che potrebbero scegliere di pubblicizzare yogurt, scarpe o aranciate e non questa devastante sciagura collettiva nel Paese dove il luogo più innocente dell’azzardo economico, il solo che viene ancora vietato e limitato, è il vecchio, romantico casinò.
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