“Così Amazon e gli altri alterano l’ecosistema dei libri”

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È il gruppo editoriale che somma più marchi: una vera costellazione, costruita negli anni grazie alla congiunzione di due grandi famiglie di editori: gli Spagnol e i Mauri. Dal loro incrocio è nata Gems, la terza realtà  editoriale italiana, con una quota del 12 per cento del mercato (alle spalle di Mondadori e Rizzoli) e un fatturato di 161 milioni di euro. Nella pancia di Gems – composta da 16 case editrici – ci sono Longanesi, Guanda, Garzanti, Salani. Come dire: tra i marchi più prestigiosi che l’editoria italiana abbia prodotto negli anni. Incontro Stefano Mauri, il presidente del gruppo. Cinquant’anni, una laurea in lettere (tesi sul consumo del libro), molta gavetta e ora in sella a un’impresa che dovrà  far fronte alla crisi generale e al terremoto tecnologico che investe il libro.
Fate una politica editoriale particolare. Passate parte del vostro tempo a guardarvi intorno per vedere cosa comprare. Cosa vi spinge al rastrellamento di vecchi marchi editoriali?
«La necessità  di rafforzare il gruppo e insieme salvare aziende che hanno la potenzialità  economica e la riconoscibilità  culturale. Ossia marchio e catalogo. Nel 2009, per esempio, abbiamo acquistato interamente Bollati Boringhieri, preso una quota di maggioranza della Coccinella e siamo entrati con la partecipazione di un terzo in Fazi».
Alcuni chiudono, altri si ridimensionano. Voi vi allargate. Quali sono i vostri successi?
«L’anno scorso i due maggiori successi in Italia sono stati due libri della Garzanti: Il profumo delle foglie di limone e Il linguaggio segreto dei fiori. Un altro obiettivo raggiunto è stato che, dopo tanti anni di bilanci in rosso, nel 2011 la Bollati Boringhieri chiuderà  in pareggio».
Lei in tutto questo di cosa si occupa?
«Per metà  del tempo mi occupo dell’organizzazione generale, sovrintendo ad alcune funzioni industriali che fanno capo a Gems e svolgo le funzioni editoriali che riguardano le singole editrici. Per l’altra metà  sono il referente ultimo della Garzanti e della Longanesi, di cui sono amministratore delegato».
Concretamente cosa fa un amministratore delegato?
«Traduce in numeri la qualità  delle scelte. Decide, quando si va oltre una certa soglia di impegno economico, l’acquisizione di autori, si occupa del marketing e dialoga con la direzione editoriale. Il conto economico è fondamentale, ma un amministratore delegato deve avere la sensibilità  di capire che non si fanno solo libri che si vendono».
Il vostro gruppo si compone di 16 marchi. Sfornate 1200 titoli l’anno. Da un punto di vista dell’editoria tradizionale siete imbattibili. Ma l’ingresso dell’e-book non rischia di moltiplicarvi i problemi?
«C’è un problema più generale, innanzitutto. Da quando è esploso l’e-book si è visto che in certi paesi, soprattutto negli Stati Uniti, sono entrati in competizione dei player molto più grandi dei singoli editori».
Pensa ad Amazon?
«Ma anche a Apple e Google che insieme ad Amazon sono i tre che si cimentano in questa lotta titanica».
Lo dice con apprensione.
«Non sono parte della comunità  del libro. Ciascuno di loro propone un ecosistema alternativo a quello tradizionale. Alla lunga puntano alla disintermediazione. Hanno interessi non del tutto coincidenti con gli autori, i lettori, gli editori. Il libro diventerà  anche uno strumento per profilare i clienti e vendergli altro: l’hardware, la pubblicità , le offerte finanziarie».
Ma abbassano anche il prezzo del libro.
«Quelli di Amazon sono scesi dopo che è stata fatta concorrenza al loro Kindle. Prima vendeva molto più caro il suo hardware. In ogni caso, è un fatto che l’elettronica di consumo ci abitua a prodotti sempre più sofisticati e a prezzi più bassi. Il vero tema che ci attende è se in futuro riusciremo a traghettare la parte più sana dell’attuale sistema editoriale».
Come se lo immagina questo futuro e come vi state preparando?
«Cerchiamo di attrezzarci come se la curva dell’e-book, pur partendo bassissima da noi, raddoppi ogni anno. Qualcosa del genere, almeno fino a un certo punto, è accaduta negli Stati Uniti. Se la teoria del raddoppio fosse vera noi avremmo, che nel giro di quattro o cinque anni, il mercato dell’e-book si attesterebbe tra il trenta e il quaranta per cento. Producendo un evidente sconvolgimento delle nostre abitudini. Dopodiché, mi dicono che negli Usa, come accade molto spesso con le curve logistiche, il fenomeno sta rallentando. Vedremo cosa accadrà  da noi».
È un grosso interrogativo.
«Non è il solo. L’altro problema è il prezzo. Per cui se l’e-book non conserva un prezzo decente si rompe tutto. Avremo la situazione che chi fa l’offerta più bassa vince e la qualità  si andrà  a fare benedire e non ci saranno più risorse per aiutare l’autore a produrre qualcosa di buono».
Il business dei ricavi tenderà  a ridimensionarsi.
«Bisognerà  vedere se ridimensionerà  anche i margini. Se noi pensiamo che oggi il libraio ha il 30 per cento per ordinare i libri, scaricarli, metterli negli scaffali, consigliare i lettori e poi venderli, e poi vediamo che quel 30 per cento le piattaforme se lo prendono con una lieve scossetta da un loro server in Arizona beh, la sproporzione mi pare evidente.
E quindi?
«Abbassare a vantaggio del consumatore il prezzo va benissimo. Ma occorre lasciare le risorse a chi i libri poi li deve produrre. Però c’è un’altra questione».
Quale?
«Un altro grosso cambiamento si avrà  nel campo delle novità  librarie. Quelle cartacee sappiamo che devono competere con i long-seller e con le altre novità  degli ultimi tre o quattro mesi. Nel mondo dell’e-book ogni novità  dovrà  competere con tutto quello che è uscito prima. Se pubblico un romanzo on line io so che dovrà  fare i conti anche con Guerra e Pace uscito in e-book a 99 centesimi. Prima lo scarto tra libri in diritto e fuori diritto era di almeno due euro, ora si è ridotto in modo drastico».
A proposito di diritti c’è la polemica su quelli d’autore.
«Sono convinto che il diritto d’autore va rispettato. Qualcuno sulla rete, come sulla carta, deve essere responsabile di quanto viene pubblicato sia agli effetti del plagio che della diffamazione. Il punto è che gli editori hanno la pessima abitudine di rispettare le leggi che conoscono mentre molto business del web poggia sull’ignoranza di queste regole. E anche questo contribuisce alla crisi».
A proposito di crisi, mi pare cominciate a subirla in modo serio.
«In tutti i paesi europei il libro è entrato in flessione dal 2009. Solo in Austria e in Italia la contrazione è iniziata nel 2011. Ho l’impressione che siamo un paese che ha faticato a prendere atto della crisi. Dai primi di agosto, quando sono cominciati gli allarmi sullo spread, la gente si è risvegliata bruscamente da un sogno. La caduta l’abbiamo registrata in gennaio e febbraio con una flessione del 10 per cento. Ora vedo qualche segnale di ripresa».
Si dice che il “lettore forte” vi sta abbandonando.
«Secondo me, la gente non ha mai letto così tanto. Ma si sta abituando a leggere gratis. E non è solo l’e-book. Internet, con Twitter, Facebook e tutto il resto, ha diversificato le fonti di lettura. Però quando c’è un’offerta forte il lettore risponde ancora».
Non c’è più il grande best-seller.
«Ma il mega-seller è casuale. L’editoria ha avuto un decennio fortunato con Il codice da Vinci, Twilight, Millennium, Harry Potter, Gomorra e poi il romanzo di Giordano e il libro di ricette della Parodi. Tutti sopra il milione di copie. Ma nessuno poteva immaginare che avrebbero raggiunto questi risultati».
La Parodi pubblicava per la vostra Vallardi. Ora è passata a Rizzoli. Perché è andata via?
«È stata mal consigliata dal suo agente. E non credo che il passaggio le abbia giovato. Quando abbiamo sentito l’offerta che aveva ricevuto ci siamo chiesti se con quegli stessi soldi non era meglio far contenti molti altri autori e investire nell’attività  di ricerca».
Ogni volta che si parla del futuro dell’editoria vedo molta preoccupazione generale, mai però riportata a quello che succede in casa propria.
«Non so se siamo una delle migliori orchestre del Titanic o semplicemente una buona orchestra e basta. Lo diranno i prossimi anni. La preoccupazione personale c’è. I primi due mesi sono stati molto negativi, ma improvvisamente è tornato un po’ di sereno. Se gettiamo lo sguardo oltre il nostro mondo vediamo che l’economia va male ovunque. In questo momento è difficile discernere la crisi dell’impatto del digitale dagli altri problemi che la gente ha».
Che cosa le viene spontaneo di fare?
«Sento la responsabilità  di preparare il nostro personale al cambiamento. Con le persone che lavorano con noi non abbiamo mai avuto l’atteggiamento usa e getta. È gente preparata e curiosa, altrimenti non si occuperebbe di libri. Devono capire in quale mondo si nuoterà  prossimamente. E dovremo adeguarci in fretta».


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