Corruzione, dalle mazzette alle cozze pelose i diversi gradi della questione morale

by Editore | 22 Marzo 2012 2:26

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La vita pubblica delle ultime settimane è stata punteggiata da una serie di episodi di corruzione e, più in generale, di malcostume politico che rendono sempre più urgente il varo di una rigorosa legge di contrasto al fenomeno: dalle vicende del leghista Davide Boni a quelle del tesoriere della Margherita Luigi Lusi, dalle inchieste su Romano La Russa alle cozze pelose del sindaco Michele Emiliano. 
Si tratta di una costante di lungo periodo della storia italiana, ma il peso del passato, con i suoi luoghi comuni e inevitabili fatalismi, non è una buona ragione per relativizzare la necessità  di un impegno a cui ogni cittadino e ogni generazione sono chiamati a offrire il loro contributo. Cambiano i contesti, i protagonisti, le modalità  e le finalità , ma il tasso di inquinamento della nostra vita pubblica resta elevato, superiore a quello della media europea. Secondo il Global corruption barometer, nel 2010, il 13 per cento degli italiani ha dichiarato di avere pagato una tangente, quando la media continentale è del 5 per cento. Inoltre, il contrasto giudiziario è clamorosamente diminuito negli ultimi anni, mentre la percezione del fenomeno è andata aumentando: nel 1996 le condanne per reati di corruzione furono 1700, dieci anni dopo sono state 239.
Nell’affrontare l’argomento è opportuno evitare la fiera dell’ovvio, in fondo una forma di corruzione intellettuale anch’essa. E dunque non è possibile limitarsi a esecrare il malcostume perché tra le file di quel coro i primi a levare alti lai di indignazione sono di solito proprio i malfattori. Così come non funziona l’atteggiamento di quanti, pur animati dalle migliori intenzioni rigeneratrici, scaricano ogni responsabilità  sulla politica e sui partiti, postulando l’esistenza di una società  civile vittima o pregiudizialmente incontaminata. Una chiave di lettura che in Italia riscuote uno straordinario successo anche perché serve da copertura per gli autori di comportamenti illeciti, in base al principio che se tutti i politici sono ladri, nessuno è ladro. Infine, è bene differenziare la condotta morale dall’attitudine moralistica, ossia dall’uso strumentale della postura etica, un filone che, non a caso, trova da secoli negli intellettuali del Belpaese degli interpreti insuperabili. Ci si scava così una nicchia di supposta superiorità  morale ove trova riparo nobilitante una sterile miscela di radicalismo e indifferentismo. Purtroppo, anche in questo caso, il moralismo consente al ladro di travestirsi da santo, all’amministratore corrotto di vestire i panni del fustigatore dei pubblici costumi in nome del rinnovamento della politica e al mafioso di diventare un sostenitore della battaglia antimafia.
Di conseguenza l’unica strada percorribile è quella di esercitare l’arte della distinzione e della responsabilità , sviluppando un atteggiamento critico che impedisce di fare di ogni erba un fascio. Anzitutto, al di là  dei pronunciamenti giudiziari, bisogna individuare diversi livelli di colpevolezza che in concreto significa ricordare come le spigole di Emiliano non siano paragonabili ai 12 milioni di euro sottratti da Lusi. In secondo luogo, vuol dire valorizzare la diversità  delle reazioni delle parti politiche sotto accusa, un dato di fatto che impedisce di considerarle uguali: a destra, di norma, si resiste incollati alla propria poltrona e si accusa la magistratura di politicizzazione, a sinistra si fa un passo indietro e si esprime fiducia nell’azione giudiziaria. 
Si diceva che la corruzione costituisce il cuore antico di un problema economico e di cittadinanza sempre attuale. Essa costa moltissimo alla collettività  poiché altera la libera concorrenza dei mercati e lede i principi di uguaglianza, allontanando gli investitori e diminuendo la fiducia nelle istituzioni. Alcuni fattori rivelano che la corruzione in Italia è sistemica e per questa ragione richiede una grande battaglia civile e politica non solo sul terreno della repressione, ma su quello della prevenzione, a partire dalla famiglia e dalla scuola. Il primo problema riguarda la credibilità  dell’azione giudiziaria, ossia la capacità  di contrastare il fenomeno a causa della lentezza del sistema e della inadeguatezza della legislazione. C’è poco da fare ma gli standard italiani sono più bassi di quelli europei. Ad esempio, per responsabilità  della legge 251/2005 (ex Cirielli) voluta dal governo Berlusconi, oggi in Italia il delitto di corruzione si prescrive in sei anni e non in dieci. Inoltre nel nostro Paese l’87 per cento delle condanne per concussione e corruzione produce pene al di sotto dei due anni, il che significa una sostanziale impunità  del reo, a causa del meccanismo di sospensione condizionale della pena. 
La seconda specificità  nazionale, come racconta la battaglia di Roberto Saviano, è la saldatura della corruzione con la criminalità  organizzata. Essa prospera soltanto dove c’è una zona grigia di passività , fatalismo, consenso che le fornisce l’ossigeno per affermarsi e apparire invincibile. Pertanto il problema non riguarda soltanto la grande corruzione, ma quella piccola e persino inconsapevole, di carattere ambientale, che si manifesta nel tollerare le regole di un sistema fuorilegge. 
Il nodo della corruzione riconduce al deficit di riformismo che caratterizza la nostra democrazia, refrattaria ad adottare condotte di trasparenza, integrità  e tutela per chi denuncia il malaffare: il sentiero è stretto, ma è l’unico percorribile per vedere un po’ di luce. Altrimenti prevarrà  sempre la delega purificatrice alla magistratura, oppure la scorciatoia giustizialista, accompagnata dall’eterna tenzone fra anti-italiani e arci-italiani, esterofili e strapaesani. Tra una mazzetta e l’altra, mentre contempliamo la nostra decadenza.

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