by Editore | 23 Marzo 2012 8:48
Il governo ha voluto fissare i paletti e definire i criteri per regolare l’accesso al lavoro dei giovani, e in qualche caso, meno giovani. Ma soprattutto per evitare quegli abusi e distorsioni che hanno portato al precariato di massa. Resta da vedere se nell’immediato l’intervento porterà ad una stabilizzazione dei tanti, troppi, lavoratori a termine, o a progetto o a partita Iva, che è l’obiettivo della riforma. Oppure se, perlomeno in un primo tempo, l’effetto sarà una chiusura delle opportunità di impiego, visto che le imprese non sembra stiano prendendo troppo bene l’intervento di riforma su questo terreno. In grande sostanza la proposta del governo punta a passare dalla «flessibilità cattiva» a quella «buona» e poi alla stabilizzazione.
Apprendistato
Sarà il canale «privilegiato» di avviamento al lavoro dei più giovani con la conferma dell’impianto della legge del settembre 2011 che riguarda chi ha tra 15 e 25 (per la qualifica e il diploma professionale) e tra 18 e 29 anni per l’avvio al lavoro vero e proprio e può durare 3 anni e in qualche caso 5 anni. I correttivi proposti dal governo introducono la durata minima del contratto — 6 mesi — nonché l’obbligo per il datore di lavoro di stabilizzare perlomeno il 50% degli apprendisti che potranno essere 3 ogni 2 dipendenti. Prima il rapporto era di 1 ad 1.
A progetto e co.co.co
Il ministro Fornero considera questa forma di impiego la più distorsiva. L’obiettivo è quindi di arrivare a sterilizzarla mettendo una serie di paletti che la rendano meno conveniente per le imprese. Innanzitutto il «progetto» deve avere una definizione più stringente e dettagliata e se l’attività richiesta al lavoratore finisce per essere sostanzialmente simile, per orario, postazione e per compiti svolti, a quella anche solo di un dipendente allora scatta la presunzione del carattere subordinato della prestazione. Soprattutto per le qualifiche medio basse, e per i lavori di tipo esecutivo. Viene anche introdotto un incremento dell’aliquota contributiva dell’1% l’anno per sei anni, dal 2013 al 2018, così da proseguire il percorso di avvicinamento alle aliquote previste per il lavoro dipendente.
A termine
Maggior rigore anche per i contratti a tempo determinato che vengono in qualche modo scoraggiati attraverso l’aumento, pari all’1,4%, dei contributi che andrà a finanziare la nuova assicurazione sociale per l’impiego (Aspi). Fatta eccezione per i contratti di sostituzione e stagionali. Tale maggiorazione, potrà essere recuperata, fino ad un massimo di sei mesi, in caso di assunzione a tempo indeterminato (premio di stabilizzazione). Più difficili anche i rinnovi, perché l’intervallo tra un accordo e l’altro passerà a 130 giorni (ora sono 60). Viene poi accorciato a 36 mesi il termine (ora è possibile la proroga di 8 mesi) massimo di contratti a tempo determinato – includendo anche la somministrazione (lavoro interinale) presso la stessa azienda – che fanno scattare la stabilizzazione.
Partite Iva
Giro di vite anche alle collaborazioni o consulenze con partita Iva. Con l’esclusione dei professionisti iscritti ad albi, viene riconosciuto il carattere continuativo e subordinato della collaborazione svolta per più di 6 mesi nell’arco di un anno presso uno stesso committente, nella postazione del datore di lavoro e con guadagni che superano il 75% dei redditi totali.
A chiamata
Per il lavoro intermittente viene previsto l’obbligo di effettuare la comunicazione amministrativa in occasione di ogni chiamata al lavoro e non solo all’avvio del contratto. Stessa condizione per il tempo parziale. Quanto all’associazione in partecipazione si limita a 5 il numero massimo degli associati (con capitale o lavoro) e per l’ambito familiare tale rapporto potrà valere solo per genitori e figli
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