by Sergio Segio | 4 Marzo 2012 8:03
O che nessuna multinazionale chiamerebbe a ricoprire un ruolo di direzione, almeno fino al prossimo disastro. Partiamo dall’abc. Ci dicono (l’ha ripetuto venerdì sera anche Mario Monti, giurando che i lavori andranno avanti come un treno blindato): «È la modernità », «serve allo sviluppo economico», «ce lo chiede l’Europa». Panzane. Dette magari in modo professorale, ma stratosferiche. Restiamo in campo puramente economico, senza toccare gli aspetti ambientali o democratici, che ovviamente ci sono e sono decisivi. In ogni caso, il primo passo per decidere un’opera è sempre il calcolo costi/benefici.Quanto traffico merci c’è e quanto se ne prevede sulla tratta tra Torino e Lione? I dati sono impietosi. Molto prima che cominciasse la prova di forza con i valligiani, la linea ferroviaria già esistente che attraversa la Val Susa era utilizzata (al 40% delle possibilità ). Nel decennio tra il 2000 e il 2009, prima della crisi e ovviamente degli «scontri» di questi giorni, il traffico complessivo di merci dei tunnel autostradali confinanti – Fréjus e Monte Bianco – è crollato del 31%. Nel 2009 «pesava» per 18 milioni di tonnellate di merci trasportate, come nell”87. Nello stesso periodo anche il traffico merci sulla ferrovia del Fréjus si è dimezzato, anziché raddoppiare come ipotizzato nel 2000 (nella «Dichiarazione di Modane»). Al massimo, insomma, avrebbe avuto senso una robusta manutenzione di questa linea (che Fs considera da tempo un «lusso»). Non è tutto. Per «costringere» gli spedizionieri a tornare su rotaia – dopo oltre mezzo secolo di «gomma» – bisognerebbe far impennare i pedaggi autostradali del Tir. Con il buon risultato di trasferire la rivolta dai valsusini a questi ultimi. In secondo luogo, ci sono molte vie ferroviarie alternative, già costruite o in stato più avanzato. Il Loetschberg, in direzione Berna, che offre poi un ottimo raccordo già esistente con Lione. Basta un’occhiata alla cartina per capire l’inutilità di un secondo mega-tunnel da 57 km. Se i benefici sono di fatto nulli, i costi sono al contrario faraonici. I 13 miliardi inizialmente previsti in conto all’Italia sono levitati immediatamente a oltre 17. Ma sarà il Fiscal Compact – firmato dallo stesso Monti venerdì – a far levitare la nostra quota. L’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione, infatti, costringerà i paesi europei non direttamente interessati a ridurre drasticamente il proprio contributo. Contemporaneamente, lo stato italiano si troverà vincolato a sacrificare molte altre spese pur di abbattere il debito pubblico dal 120 al 60% del Pil in 20 anni. Un rapido calcolo: signifca -3%, quasi 60 miliardi, ogni anno. E il «costo sociale» dei fondi pubblici diventa rapidamente insostenibile. Tra l’altro, il governo ha ereditato molte altre «grandi opere» dai costi alti: un megatunnel Tav sotto il Brennero, la Milano-Genova, le «autostrade del mare». La più costosa è certamente la Tav in Val Susa. Farla «a tutti i costi» significa che si rinuncerà a tutte le altre? E quando verrà comunicata una simile scelta, peraltro mai discussa in nessun luogo della democrazia formale?
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