Ciao Lucio

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La canzone più bella di Lucio Dalla l’ha cantata una città . Forse una nazione. A lui, dovunque sia, è piaciuta moltissimo. «Chi se ne frega di me – diceva – Non possiamo continuare a brontolare che tutto va male e non fare niente. Muoviamoci. Io voglio arrivare a 70 anni non come Lucio Dalla il cantante. Piuttosto come il calciatore o il grande del basket. O come uno che ha fatto qualcosa per l’anno che verrà ».
Non ha visto i 70 anni, Lucio. E’ morto tre giorni prima dei 69. Ma la morte, il funerale nel suo 4 marzo non suonano come una fine. In 50 mila ieri hanno riempito Piazza Maggiore a Bologna, da lui resa famosa come Piazza Grande. Il suo compagno Marco Alemanno ha letto una dichiarazione d’amore in una chiesa ed è stato applaudito da suore e preti: amore complicato come il rapporto di Lucio con la fede, mentre la Rai ancora chiedeva a un domenicano suo amico se «Dalla era credente e non cattolico?». «Ma accidenti dobbiamo essere noi reazionari a spiegarvi la fede, l’amore e chissà  cosa altro? Dalla era un uomo che univa tutti trasversalmente» si arrabbiava sul sagrato di San Petronio il vescovo Ernesto Vecchi. E adesso il business dei libri e dei dischi è esploso nella rincorsa di quello che aveva etichettato come un vate obliterato. Si cercano editi ed inediti di Dalla. I soldi non sempre capiscono i valori. Giorgio Napolitano piange al Quirinale e manda una corona di fiori e affetto. A unirli c’erano le vacanze a Stromboli, la gite in barca quando Napolitano non era ancora presidente, le conversazioni sul sud, il progresso e i progressisti. Davanti alla sua bara Lucio ha raccolto una decina almeno di grandi: Ron, Morandi, Renato Zero, Vecchioni e Ramazzotti, Ligabue e D’Alessio, Jovanotti e i Pooh, Carboni e Ron, Nek e Antonacci. E poi e poi. Gli amici più antichi, duraturi e veri come Renzo Arbore rischiavano di rimanere in piedi. Ornella Vanoni in gabardine rosso durante la messa si alzava per andare ad accarezzare Marco Alemanno in prima fila. E se ne andava, piegata. «Ciao Lucio» diceva la corona di Vasco Rossi, da mesi e mesi lontano da tutto, capace però di salutare il «capofamiglia». Colui che dava senza spesso ricevere. Non c’erano Francesco De Gregori e Francesco Guccini, assenze che raccontano gli anni e le angoscie. E già  questo è storia.
Quello di ieri in San Petronio, con l’Italia collegata in diretta tv, è stato un funerale di speranza. Uguale per maestosità  popolare a quelli di Pavarotti e delle stragi degli anni del terrore. Ma molto diverso, come se una lezione quasi involontaria si fosse abbattuta sull’Italia sperando di essere afferrata. «Piangiamo pure – dice il rettore Dionigi – ma qualcuno dovrà  capire che tutto questo non può essere disperso».
«Il brutto di morire è il funerale» cantilenava Dalla. E i politici? Dove li mettiamo? si ragionava ancora sabato sera a casa sua, quando si buttava giù la fondazione con cui avrebbe voluto insieme dare un futuro alla sua casa straordinaria di 2.400 metri quadri, piena di quadri splendidi e di storia non solo personale e costruire un luogo di incontro fra giovani e intelligenze, come il teologo Vito Mancuso ed Ernestro Bianchi che ieri hanno letto il Vangelo per lui, e Umberto Eco con cui condivideva l’amore per Urbino e poi i professori amici e gli artisti non solo della musica. Laboratorio, a Bologna, per l’Italia. Già  e i politici? «Credo gli basti il mio funerale».
I politici ieri erano quasi imbarazzati al funerale-lezione. Casini è arretrato con Azzurra dalla prima fila, dove è rimasto l’ex missino Filippo Berselli. I cantanti hanno taciuto, quasi. I presenzialisti avvisati. «Ricordo a chi desidera accostarsi al sacramento dell’Eucarestia che non deve trovarsi in uno stato di vita che contraddice il sacramento» aveva messo le mani avanti monsignor Cavina. «Chi si trova in peccato mortale, prima ricorra al sacramento della Confessione e faccia penitenza». In questa chiesa Dalla prima di partire per il tour si era confessato, comunicato. Molti amici di decenni e decenni hanno preferito rimanere in piedi. Montezemolo è stato quasi trascinato fra i vip. «Mi hanno accusato di essere di sinistra poi di destra, – raccontava Lucio da Sanremo – di essere amico di Craxi. Berlusconi mi chiedeva consigli “tu che sei comunista…”. Io consigli non ne ho mai dati a nessuno e forse non sono mai stato comunista. Ma qui il problema è di una cultura o di una distruzione della cultura. Noi siamo ricchi, qualcosa per gli altri dobbiamo combinare. Sapendo che siamo cantastorie. Forse fra tanti festival quelli migliori sono dedicati a gente come Matteo Salvatore, il cantastorie pugliese, quasi un Di Vittorio in musica». I preti citavano Kundera e l’insostenibile leggerezza dell’essere. Marco Alemanno andava sull’altare, leggeva Le rondini di Dalla. Era il Funeral Blues senza disperazione.


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