CHI HA INVENTATO OCCUPY WALL STREET
Occupy Wall Street ha qualcosa da dire alla politica di tutto il mondo, non solo alle piazze. Aveva cominciato la primavera araba, si erano aggiunti los indignados a Madrid e i giovani delle tende di Israele, chi abbattendo gli autocrati, chi criticando le democrazie. Si tratta di un «qualcosa», ha commentato il liberal Michael Walzer, «di cui non vedremo presto la fine»: la battaglia contro le crescenti ineguaglianze nelle nostre società . Non è una novità , spiegano economisti come Piketty e Stiglitz, il ciclo capitalistico all’inizio del XXI secolo ripropone i picchi di ineguaglianza dell’inizio del XX. Allora successero disastri, seguiti dalla grande correzione keynesiana e socialdemocratica, durata mezzo secolo. Questo movimento è riuscito a imporre alla politica una domanda: oggi chi la fa la correzione?
E come ci sia riuscito lo si capisce bene se si legge questo Occupy Wall Street (Chiarelettere, pagg. 153, euro 9), di Riccardo Staglianò, un reportage da piazza Zuccotti e dintorni, da leggere senza interruzioni, come un unico piano-sequenza di un film frenetico: dialoghi, seminari, speranze, ideazioni, ritirate, tecniche di organizzazione e tecnologie di comunicazione. Una settimana vissuta con loro, gli inventori di Ows, da Vlad Teichberg, prima trader dall’altra parte della barricata poi creatore di Global Revolution tv, a David Graeber, l’antropologo dello start up teorico del movimento, da Marina Sitrin, avvocato della democrazia diretta, a Kalle Lasn, il direttore della rivista di critica culturale Adbusters, da cui è partita la scintilla.
Staglianò insegue e interroga i protagonisti che ha scovato in rete, infilandosi nella community. Sono testimoni di una società orfana di quella classe media che aveva dato il tono alla società americana, sono la generazione che prova su se stessa come la fiducia nel sistema sia saltata: il credito agli studenti per finanziarsi l’università ? Ti costa come quattro Bmw e non ti porta da nessuna parte. È diventato «zavorra mortale», spiega una delle performer di piazza Zuccotti, «tutto ciò che riuscite a ottenere è un bello stage, wow! Così, a 26 anni, vi trovate a lavorare per un’azienda…gratis. Wow, wow!».
Ce la farà un movimento senza un leader e una organizzazione stabile? Jesse Jackson, in visita, ha commentato, con una battuta gelida, che «non avere un leader è un vantaggio perché non c’è nessuno da assassinare». Meglio forse un movimento senza martiri, ma l’ideologia e i programmi? «Pensare divertente», è una prima risposta. E poi? Dalle infinite riunioni e seminari in tenda, non si ricava un programma definito, ma una grande varietà di ispirazioni per colpire l’immaginazione, come gli indimenticabili aeroplanini di carta e i palloncini rossi davanti a Goldman Sachs e Morgan Stanley: «Basta welfare per le corporations». I più ottimisti si affidano all’ipotesi di una ideologia open source, di cui tutti possano servirsi, migliorandola. Il movimento «sta funzionando come un software», un’interfaccia che consente di estrarre informazioni da varie risorse della rete.
Con la primavera (a New York tuttora si gela) la partita si riaprirà , ora si andrà a Liberty Square. L’autore di questa coloratissima perlustrazione ci trasmette una sincera meraviglia per la miscela tutta americana, «di candore e pragmatismo»: le tendenze più radicali trascolorano nell’happening, ma la politica non può non raccogliere la sfida. Chi e che cosa riuscirà a condurre le nostre società verso un maggiore equilibrio? Nonostante le critiche, la Casa Bianca un segnale di «ricevuto» lo manda. «Adesso chiamatela pure “lotta di classe” se volete, ma chiedere a un miliardario di versare almeno le stesse tasse della sua segretaria è semplice buon senso per la maggior parte degli americani». È una battuta di Obama, indirizzata ai Repubblicani, e senza Occupy Wall Street non gli sarebbe riuscita così bene.
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