C’è la plusvalenza per un rilancio

by Editore | 21 Marzo 2012 7:31

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E via dicendo per il salvataggio delle imprese in crisi, per il miglioramento dei servizi pubblici, per la riduzione delle imposte dirette, per l’accelerazione dei processi civile e penali ecc. Invece le risorse ci sono, e possono essere utilizzate senza aggravare di un solo centesimo il disavanzo dei conti pubblici, e – di conseguenza – l’indebitamento complessivo dello Stato. Facendo dei conti a spanne – e non è possibile farne di più precisi per la reticenza degli interessati a fornire cifre esatte – le riserve auree italiane sono dell’ordine di 2.400 tonnellate di metallo. Un metallo che oggi è quotato attorno ai 1.700 dollari per oncia. Dobbiamo supporre che almeno 2000 tonnellate siano state acquisite prima che le quotazioni subissero un’impennata, e che quindi non siano state pagate più di 400 dollari. 
C’è dunque una plusvalenza molto consistente. Dato che un’oncia pesa circa 32 grammi, in un chilogrammo ce ne sono circa 30, e in una tonnellata circa 30.000, 1.300 dollari di plusvalenza per 30.000 once moltiplicato per 2000 tonnellate portano ad un totale di ben 78 miliardi di dollari, pari, al cambio attuale di 1,3 dollari peri, a 60 miliardi. Come fare emergere ed utilizzare questa plusvalenza? La soluzione più semplice sarebbe quella di fare emergere la plusvalenza stessa dal bilancio di Bankitalia, tassandola come utile. In questo caso lo Stato incasserebbe, a titolo di imposta, circa 30 miliardi: quanto basta a ridurre in misura molto consistente non solo il disavanzo, ma anche lo stesso debito pubblico. L’inconveniente consisterebbe però nell’impoverimento dell’Istituto di emissione, con conseguenze difficilmente prevedibili. L’alternativa possibile – e forse auspicabile – è invece quella di una nuova «Visentini»: di una legge cioè che consentisse di fare emergere le plusvalenze derivanti dalle cosiddette «riserve occulte» in esenzione di imposta, e che allo stesso tempo imponesse alla Banca d’Italia ed agli altri detentori di riserve auree di mettere a bilancio il metallo all’attuale prezzo di mercato.
A questo punto si porrebbe il problema di cosa fare di questa ingentissima plusvalenza. E’ opinione di chi scrive che – come già  avvenne nel 1933 – il salvataggio della grande industria italiana non possa non essere affidato alla stessa Banca d’Italia. Anche se quest’ultima non dispone – come non disponeva allora – delle necessarie capacità  manageriali, esiste già  un primo nucleo di partecipazioni pubbliche nell’economia italiana: si tratta della Cassa Depositi e Prestiti, che tuttavia, con l’attuale gruppo dirigente, non sembra disposta a svolgere il ruolo che a suo tempo venne affidato all’IRI.
Previo dunque un profondo rinnovamento dell’attuale management della CDP, Bankitalia potrebbe utilizzare la plusvalenza descritta in precedenza per acquisire e ricapitalizzare la CDP; questa, a sua volta, potrebbe intervenire con adeguati mezzi finanziari per ricapitalizzare e risanare le maggiori aziende italiane in crisi, effettuando i necessari investimenti in innovazione tecnologica e ricerca, salvando quindi produzioni e posti di lavoro (per non fare che un semplice esempio, investendo sulla coltivazione e gassificazione del carbone Sulcis, e quindi sulla generazione di energia elettrica a costi tanto competitivi da permettere la produzione di alluminio in Sardegna, che altrimenti verrebbe abbandonata dall’Alcoa). Tutto questo senza influire sui conti pubblici, ma anzi – stimolando la crescita, accelerando il ritorno all’equilibrio di bilancio.
* ex direttore centrale dell’Iri

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