Caso Tangenti in Lombardia «Soldi usati per la Lega»
MILANO — Ancora un piccolo sforzo, e la Regione Lombardia ce la può fare a pareggiare, quanto a numero di consiglieri nei guai con la giustizia, il pallottoliere della Calabria (16 indagati) che pareva difficilmente eguagliabile. Ieri la Procura di Milano ha indagato per l’ipotesi di corruzione anche il presidente del Consiglio regionale lombardo, il leghista Davide Boni, e con ciò addirittura i quattro quinti dell’Ufficio di Presidenza sono affondati dalle inchieste: era già accaduto al pd Filippo Penati accusato a Monza di corruzione, concussione e illecito finanziamento al partito, al pdl ex assessore Franco Nicoli Cristiani arrestato a Brescia e Milano per corruzione nel settore delle discariche, e al pdl ex assessore Massimo Ponzoni in carcere a Monza per bancarotta, corruzione, concussione e finanziamento illecito. Una statistica già appesantita negli anni delle varie giunte Formigoni dagli arresti di ex assessori come Guido Bombarda (Formazione) e Piergianni Prosperini (Turismo); dai processi in corso alla consigliere pdl Nicole Minetti per favoreggiamento della prostituzione nelle feste ad Arcore di Silvio Berlusconi, e al compagno di partito Gianluca Rinaldin per corruzione e truffa; dalle indagini sull’assessore leghista allo Sport, Monica Rizzi, per i presunti dossieraggi a favore di Renzo Bossi, o sull’altro leghista Daniele Belotti per il tipo di rapporti con gli ultrà dell’Atalanta; dall’arresto e dal patteggiamento per riciclaggio nell’inchiesta sul re delle bonifiche ambientali Giuseppe Grossi, della moglie (Rosanna Gariboldi) di un peso massimo del pdl lombardo come l’ex assessore Giancarlo Abelli; e dalle deposizioni o intercettazioni che indirettamente non hanno fatto fare bella figura, senza al momento addebiti giudiziari, ad almeno altri 7 consiglieri regionali.
L’ipotesi di corruzione contestata ieri a Boni dai pm Alfredo Robledo e Paolo Filippini lo riguarda come assessore all’Urbanistica (fra il 2008 e il 2010) e muove dalle controverse dichiarazioni (omissate) di Michele Ugliola, architetto già alle cronache post-Mani pulite per aver patteggiato una tangente urbanistica pagata nel 1996 a un assessore comunale di Bresso (che paradossalmente fu invece poi in Appello in parte assolto e in parte prescritto), nel 2011 riarrestato per tangenti con il sindaco di Cassano d’Adda (Milano), e nel frattempo nel mirino dei pm di Milano e Monza per fatture false con Grossi e l’immobiliarista Lugi Zunino attorno all’ex area Falck. Ugliola e il cognato Gilberto Leuci sono coindagati quali punto di riferimento indicato dalla politica agli imprenditori (come l’indagato veronese Francesco Monastero) per «facilitare» i progetti di nuovi centri commerciali in Lombardia. Due dazioni di denaro, in questa cornice, per l’accusa avrebbero visto gli imprenditori Monastero e Zunino sul versante degli erogatori; Ugliola (con Leuci) nel ruolo di intermediario; il capo della segreteria di Boni, Dario Ghezzi, pure indagato, quale materiale percettore; e Boni come destinatario dei soldi, che peraltro non avrebbe trattenuto ma indirizzato a necessità locali del suo partito. Boni si deve dimettere? «Lascio a lui valutare», dice Formigoni mentre il vice segretario pd Enrico Letta si augura che «faccia passi indietro, chiari, netti, inequivocabili»
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