CARTA D’IDENTITA’, PERCHà‰ LE FRONTIERE CI POSSONO SALVARE DAI FALSI MITI FONDATIVI

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Un’idea sciocca incanta l’Occidente: l’umanità , che sta andando male, andrà  meglio senza frontiere. D’altronde, aggiunge Flaubert nel suo Dizionario dei luoghi comuni, la democrazia ci porta diritto in un mondo senza fuori né dentro. Nessun problema. Guardate Berlino: c’era un muro, adesso non c’è più. Prova evidente che Internet, i paradisi fiscali, i cyberattacchi, le nubi vulcaniche e l’effetto serra stanno spedendo all’ecomuseo le nostre vecchie transenne bianche e rosse, insieme con l’aratro di legno, la bourrée auvergnate e il cucù svizzero. Tutti coloro che, nel nostro piccolo promontorio di Asia, godono di un posto al sole – giornalisti, medici, calciatori, banchieri, clown, coach, avvocati d’affari, veterinari – esibiscono il distintivo senza frontiere. Alle professioni e alle associazioni, che sul loro biglietto da visita dimenticano questa sorta di Apriti Sesamo verso ogni simpatia e sovvenzione, non si dà  alcuna importanza. Doganieri senza frontiere è cosa di domani.
Se il miraggio fosse tonificante, tanto da smuoverci il sangue, da spingerci in marcia di buon mattino e di buona lena, allora dovremmo concedere il nostro consenso a cuor leggero. Fra una sciocchezza che dà  respiro e una verità  che soffoca non si può esitare. Il fatto che da centinaia di migliaia di anni seppelliamo i nostri cari con l’idea che presto potranno ritrovarsi in paradiso è la prova inconfutabile di come una consolante illusione non si rifiuta mai. Per opporsi al Nulla, il genere umano ha fatto sempre la scelta più comoda: quella dell’illusione. (…)
Si accarezza l’idea di un pianeta levigato, sgombro dall’altro, senza conflitti, restituito alla sua innocenza originale, alla pace del suo primo mattino, simile alla tunica senza cuciture di Cristo. Una Terra con il lifting, con tutte le cicatrici cancellate, dove il Male sarebbe miracolosamente scomparso. Le nubi atomiche vanno in questo senso: si prendono gioco di Termine, la divinità  dei confini che i romani adoravano in un tempio sul Campidoglio, in pieno centro, nel cui nome venivano piantati i cippi che segnavano i limiti dei poderi. Nemmeno l’Hiv se ne cura. È un dato di fatto. Ce n’è un altro, concomitante con il primo: di frontiere sul terreno non ne sono mai state create così tante come negli ultimi cinquant’anni. Ventisettemila chilometri di nuove frontiere sono state tracciate a partire dal 1991, soprattutto in Europa e in Eurasia. Altri diecimila chilometri di muri, barriere e recinzioni sofisticate sono previsti nei prossimi anni. Michel Foucher, nei suoi studi di geopolitica, ha contato, fra il 2009 e il 2010, ventisei casi di gravi dispute di confine tra Stati. La realtà  è ciò che ci resiste, sfidando i nostri castelli in aria. È un fossile osceno tipo la frontiera, forse, ma si agita come un dannato. Fa le linguacce a Google Earth e incendia la pianura – Balcani, Asia centrale, Caucaso, Corno d’Africa, persino il placido Belgio. 
I materialisti di casa mia, che hanno sostituito l’«hurrà  per gli Urali!» con un «evviva la città  mondo!», si credono all’avanguardia. Temo non siano troppo in ritardo per un ritorno del rimosso. Si drogano in modo light, cantano l’erranza e la nuova mobilità  planetaria, stravedono per i prefissi trans e inter, idealizzano il nomade e il pirata, esaltano la levigatezza e la fluidità  nello stesso momento in cui, nel cuore dell’Europa, ricompaiono linee di divisione ereditate dall’Antica Roma o dal Medio Evo, e davanti alla porta di casa si rivendicano come frontiere nazionali alcuni insignificanti confini regionali. Tutti a esaltare l’apertura, mentre l’industria della sicurezza, quella dei sensori termici e dei sistemi elettronici, decuplica il suo giro d’affari. 
Only one world canticchia lo show-biz, e intanto all’Onu c’è il quadruplo di Stati rispetto a quando fu fondato. L’orizzonte del consumatore si dilata, quello degli elettori si contrae. Mentre il mantra deterritorializzazione, benché difficile da pronunciare, la fa da padrone nei nostri simposi, il diritto internazionale «territorializza» il mare – che un tempo era res nullius – in tre zone distinte: acque territoriali, zona contigua e zona economica esclusiva. L’economia si globalizza, la politica si provincializza.
Con il cellulare, il Gps e Internet, gli antipodi diventano il vicinato, ma i vicini in una township estraggono i coltelli e, sempre più, si uccidono l’un l’altro. È la grande mutazione. Raramente si è visto, nella lunga storia della credulità  occidentale, uno iato così forte fra lo stato del nostro spirito e lo stato delle cose, fra ciò che ci auguriamo e ciò che è, fra ciò che si sostiene nell’Internazionale universitaria dei pensatori euro-americani, misero sostituto dell’Internazionale operaia ormai scomparsa, e ciò che imperversa nell’arena planetaria. Negli Stati Uniti, dopo la guerra, hanno costruito dei rifugi antiatomici. L’intellighentia post-nazionale, definita a torto critica e radicale, oggi ci offre rifugi contro la realtà , grazie a teorici di grande sapienza e poca esperienza. Cerchiamo pure di essere radicali, ma andando alle radici.
Da quale realtà  ci si vuole proteggere, fuggendo nel wishful thinking, brandendo questa parola feticcio, questo comodo alibi che esenta la volontà  dalle conseguenze di ciò che si vuole, la diversità ? Da una realtà  ostinata che ci molla una sberla ogni volta che dimentichiamo la raccomandazione sempre attuale di Giuseppe Verdi: «Tornate all’antico, sarà  un progresso». Da un’assurdità  necessaria e inevitabile che si chiama frontiera. (…)
La frontiera ha questa virtù, che non è soltanto estetica: mettendo sotto tensione un luogo più o meno anodino «rende affascinante la strada». Nulla può riuscire a evitare un’emozione al fondo del viale, un’isola di Citera all’orizzonte del molo. Là  dove la strada incassata fra gli alberi s’infila nel sottobosco, il mondo ritorna incantato. Da qui il «tropismo dei margini» per tutti i nostri cercatori d’oro. I «randagi dei confini», gli agrimensori delle regioni di frontiera, gli amici del crepuscolo («ciò che non è già  più l’ombra e non ancora la preda», come diceva André Breton) non possono che avere antenne per il meraviglioso. Chi ha familiarità  con le bordure ha anche familiarità  con il Santo Graal e con i campi magnetici. Borderline e flà¢neur, i surrealisti hanno spalancato le finestre di casa Cartesio. E questo fatto non è senza relazione, a parte ogni clericalismo, con la geopolitica del soprannaturale. Le apparizioni della Vergine Maria avvengono più spesso nelle zone di confine – ultimamente a Medjugorje, in Bosnia Erzegovina –, siano esse fra Stati o fra confessioni religiose, come in Libano.
(Traduzione di Gian Luca Favetto)


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