by Editore | 22 Marzo 2012 8:05
È dura passare dalla «concertazione» al conflitto. Specie la svolta arriva improvvisa e inaspettata. Magari per opera un governo «tecnico» che lì per lì era stata salutato quasi con favore, perché ci «liberava» di Berlusconi. Salvo poi scoprire il volto dell’assolutismo sabaudo sotto le buone maniere professorali.
La Cgil si è trovata in maggioranza dentro questo maelstrom senza averne avuto completamente cognizione. E la reazione è stata per un verso giustamente dura e veemente, ma con troppi se e ma per risultare davvero convincente. Sia fuori casa che dentro. Andiamo con ordine. Il Direttivo nazionale convocato ieri mattina in Corso Italia si è trovato davanti – con la relazione del segretario confederale Fulvio Fammoni – la proposta di proclamare 16 ore di sciopero nazionale per tutte le categorie, articolate in 8 nella stessa giornata (sciopero «generale», dunque), e altrettante per assemblee informative sui luoghi di lavoro o altre iniziative da studiare.
Vento di battaglia frontale? Sì e no, ed è qui che il Direttivo ha preso a discutere con toni sempre più accesi. Intanto perché – nelle stesse ore – i segretari generali di Cisl e Uil «sospendevano» il giudizio sulla «riforma», tornavano a chiedere «rettifiche» e, soprattutto, rivelavano che sull’art. 18 tutti e tre i sindacati confederali avevano presentato una «posizione unitaria» che però era stata seccamente respinta dal governo.
La proposta contemplava che, per i licenziamenti per «motivi economici» fosse ammissibile l’indennizzo accanto al «reintegro», su decisione del giudice. Una «apertura» che il Direttivo della Cgil non aveva mai autorizzato, trovando invece l’unanimità su una sola possibile novità : un’accelerazione del percorso delle cause giudiziarie per art. 18.
Il governo, dimostrando che non teneva in nessun conto questo argomento – più volte sollevato dalle imprese come una «tragedia» -, rinviava la questione a una futura «riforma della giustizia».
Uno, fondamentalmente, il punto vero del confronto interno: l’art. 18 si tocca o no? Le altre questioni – modalità dello sciopero generale, con manifestazione nazionale o meno – che pure da sempre hanno una grande importanza nel definire la «carica politica» di una mobilitazione, sono passate fin da subito in secondo piano.
Ad aprire il fronte delle critiche era stato il leader dei metalmeccanici, Maurizio Landini, che chiedeva di tener fermo il punto già deciso. In molti, ed anche inaspettati, prendevano la parola per «confermare la linea» fin qui tenuta. Tra i più decisi Nicola Nicolosi, membro della segreteria confederale e coordinatore di Lavoro e società , componente di sinistra della maggioranza congressuale. Ma anche dai segretari di pensionati, commercio, pubblico impiego, scuola e università – categorie di grandi numeri e tradizione – giungevano chiari segnali in tal senso.
La conferenza stampa conclusiva, inizialmente prevista per le 15, slittava oltre le 18, senza che una decisione fosse stata presa. Il segretario generale Susanna Camusso doveva tornar dentro per tirare le conclusioni, e lì lo strappo interno diventatava palese. «Non possiamo tenere la posizione che abbiamo tenuto finora – ha detto – dobbiamo fare degli avanzamenti». Il «punto di caduta» immaginato sottotraccia, secondo diversi presenti, era abbastanza identico a quello che nel frattempo il segretario del Pd, Pieluigi Bersani, dettava alle agenzie: «Potere al giudice di decidere tra indennizzo e reintegra in tutti i casi di art. 18». Quindi anche per i casi «discriminatori» e «disciplinari». Una posizione che di fatto rompe la diga sulla tutela dal licenziamento all’interno della Cgil.
Un emendamento che proponeva di fatto «l’art. 18 deve restare così com’è» veniva allora presentato congiuntamente da Gianni Rinaldini, coordinatore de La Cgil che vogliamo e da Nicola Nicolosi. Raccoglieva 30 voti a favore, 5 astenuti e 73 contrari. Il documento generale conclusivo recuperava la maggioranza congressuale (90) solo grazie a una modifica che include la reintegra tra i «diritti essenziali dei lavoratori»; 13 gli astenuti e due i contrari, tra cui Giorgio Cremaschi.
Ci sarà uno sciopero, ma con queste incertezze è difficile che abbia la forza di frenare la deriva e costruire una salda difesa dei diritti. Conquistati, non «acquisiti», dai lavoratori. Grazie anche alla Cgil.
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