Antonio Tabucchi Da Pessoa a Pereira La letteratura da sogno dell’italiano di Lisbona

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Antonio Tabucchi è morto ieri mattina a Lisbona (mi viene da aggiungere: nella sua Lisbona) per il solito male incurabile che lo aveva colpito ai polmoni. Da tempo si divideva tra la capitale portoghese (dove giovedì ci saranno i funerali) e Parigi, tornando solo qualche volta a Vecchiano, in Toscana, dove era nato nel settembre del ’43. Credo di non sbagliare dicendo che Tabucchi è stato ed è il più europeo dei nostri scrittori e probabilmente anche il più originale, certamente il più inquieto.
Se dovessi suggerire una porta d’ingresso nella sua opera (e non solo certo per la circostanza attuale) proporrei di leggere per primo Requiem, il capolavoro che, agli inizi degli anni Novanta, scrisse direttamente in portoghese. «Questa storia, che si svolge una domenica di luglio in una Lisbona deserta e torrida, è il “Requiem” che il personaggio che chiamo “io” ha dovuto eseguire con questo libro. Se qualcuno mi chiedesse perché questa storia è stata scritta in portoghese, risponderei che una storia come questa avrebbe potuto essere scritta solo in portoghese e basta». Requiem è dichiaratamente frutto di una allucinazione in cui entrano elementi diversi: incubi, sogni, la tomba di Tadeus e Tadeus stesso che resuscita nel ricordo. C’è un mucchio di gente in Requiem, come se i personaggi (e le persone) care a Tabucchi si fossero date tutte convegno e c’è anche Pessoa, il poeta plurale, che era stato uno e molti, scindendosi nelle personalità  dei suoi eteronimi, e qui si mette a parlare in inglese. 
Al centro della ricerca narrativa di Tabucchi c’è proprio l’esplorazione dell’io come altro da sé, un’operazione tutt’altro che indolore, una vera e propria discesa agli inferi che comporta acute schizofrenie e una nostalgia di se stessi (come altro definirla?) che si traduce in ricerca senza fine. In racconti magistrali (Il gioco del rovescio) la ricerca dell’altro diventa esemplare nel Notturno indiano (1984). Dopo aver raccontato la storia del personaggio che cerca l’altro, Tabucchi rovescia il gioco e dà  la parola a colui che è cercato: «E lui perché la sta cercando con tanta insistenza?» domanda Christine. «Chi lo sa», dissi io, «è difficile saperlo, questo non lo so neppure io che scrivo. Forse cerca un passato, una risposta a qualcosa. Forse vorrebbe afferrare qualcosa che un tempo gli sfuggì. In qualche modo sta cercando se stesso. Voglio dire, che è come se cercasse se stesso, cercando me: nei libri succede spesso così, è la letteratura».
Già , è la letteratura. Tabucchi amava Stevenson, che non è solo l’autore avventuroso dell’Isola del tesoro, ma anche l’acuto inventore di Jekyll e del suo infido doppio Hyde e non esita ad appropriarsi di personaggi altrui. Nei Piccoli equivoci senza importanza c’è un racconto intitolato “I treni che vanno a Madras”. Il protagonista (come accadeva nel Notturno indiano) va a Madras perché presso la Società  Teosofica vuole indagare la leggenda secondo la quale proprio a Madras San Tommaso aveva subito il martirio. Sul treno sale un uomo che dice di chiamarsi Peter, ma quando passa il controllo dovrà  declinare le sue generalità  per intero e dirà  di chiamarsi Peter Schlemil: identità  che non dice nulla ai controllori indiani, ma è un segnale evidente per i lettori occidentali, essendo Schlemil l’uomo che vende al demonio l’ombra nel celebre racconto di Chamisso. Dunque per Tabucchi le sponde del vissuto si allargano grazie alla letteratura e al sogno. Rovesciando Calderà³n si potrebbe proprio dire che il sogno è vita. Un libretto indimenticabile è proprio Sogni di sogni (1992) dove Caravaggio, Leopardi, Collodi e molti altri sognano ciò che non accadde. 
Harald Weinrich, il grande filologo, rubò qualche anno fa un titolo ad Antonio, Il tempo stringe e ne fece un libro nel quale sosteneva che, alla fine, noi il tempo non sappiamo bene cosa sia, anche se, con Heidegger, sappiamo che esso è dentro di noi. Il tempo stringe riguarda due fratelli molto diversi tra loro che stanno per dirsi qualcosa, quando il maggiore muore senza che riescano finalmente a comunicare. Tabucchi ha passato la vita a trafficare con il Tempo, cercando di dialogare con la Morte, così incombente in molti suoi racconti, ma anche tentando di mettere in relazione persone che altrimenti non avrebbero mai potuto comunicare. Ne I volatili del Beato Angelico Don Sebastiano de Aviz, re del Portogallo, vissuto nel ‘500, scrive al pittore Francisco Goya, mentre la cartomante di Napoleone manda la sua lettera alla Pasionaria Dolores Ibarruri. 
Il tempo è una convenzione, però come recita un altro bel titolo di Tabucchi, Il tempo invecchia in fretta e non lo si consuma senza dolore. La tessitura della pagina è spesso in Tabucchi affidata al dialogo. Nell’Angelo nero c’è un racconto intitolato “Il battere d’ali di una farfalla a New York può provocare un tifone a Pechino?” dove gli inquisitori e l’inquisito dialogano in tono apparentemente dimesso, ma in realtà  perfidamente insidioso. Anche in Sostiene Pereira, il celebre romanzo ambientato nella Lisbona di Salazar, sono molti i dialoghi. Pereira dialoga innanzitutto con la moglie morta ma anche con il cameriere Manuel, con il giovane Monteiro Rossi, con la fidanzata di lui Marta e con il dottor Cardoso. È quella di Pereira, con quell’andamento particolarissimo, quel ritmo interiore che la ripetizione ossessiva del verbo “sostiene” gli dà , una storia letterariamente sofisticata e insieme popolare. Pereira, l’obeso giornalista culturale Pereira, relegato a cucinare necrologi in un angusto ufficio, è il tipico latino di educazione cattolica. Noi siamo latini, abbiamo l’anima, non l’inconscio, dice ad un certo punto un personaggio di Tabucchi. E in Pereira il dottor Cardoso racconta di aver studiato alcuni testi di medicina in cui parla dell’anima e della confederazione delle anime…
Quando uscì Sostiene Pereira Marcello Mastroianni telefonò a Tabucchi, che peraltro già  conosceva, e gli disse con quella sua voce indimenticabile: «Pereira sono io». Era una candidatura, poi realizzata, per interpretare il personaggio sullo schermo. A Pisa, quando ci fu l’anteprima del film di Faenza, l’attore si era commosso per gli applausi e si muoveva in platea impacciato, come se fosse ancora Pereira. Non ho detto ancora che Tabucchi ha esordito con due romanzi di ambientazione italiana, Piazza d’Italia e Il piccolo naviglio. Il secondo mi è capitato di recensirlo due volte: la prima quando apparve nel ’78 e la seconda qualche mese fa, quando venne ristampato. Tabucchi era volato molto lontano da Vecchiano e dalla Toscana, ma rileggendosi aveva riconosciuto che il libro somigliava a tutti i suoi libri venuti dopo e non era giusto lasciarlo nel limbo dei ricordi. Piazza d’Italia era stato portato in teatro da Ugo Riccarelli, proprio nell’anno del 150° dell’Unità . Il primo libro è già  ricco di quella carica civile che poi accompagnerà  Tabucchi per tutta la vita dentro e fuori la letteratura e che vediamo esplodere nel gesto ultimo e gioioso di Pereira e nel romanzo Tristano muore. 
Sono moltissimi gli interventi polemici di Tabucchi sulla deriva berlusconiana, apparsi su MicroMega, su Le Monde e diversi altri quotidiani. Nel 2009 proprio Le Monde pubblicava un appello firmato dagli intellettuali di mezzo mondo e intitolato “Sosteniamo Tabucchi”. Tabucchi aveva criticato duramente l’attuale presidente del Senato Renato Schifani con un articolo pubblicato dall’Unità  e Schifani aveva replicato per vie legali chiedendo a Tabucchi un risarcimento di oltre un milione di euro. Ma non è legittimo chiedere conto agli uomini politici delle loro frequentazioni? Questo si chiedeva Tabucchi, che ancora su Le Monde era recentemente intervenuto, anche in polemica con Sollers, sul caso Battisti, incredibilmente difeso dagli intellettuali francesi quasi fosse lui la vittima e non un latitante con sulle spalle più di un assassinio. Polemiche incandescenti nelle quali Tabucchi si era speso senza risparmio. E c’è una continuità  tra l’azione del Tabucchi scrittore e quella del Tabucchi uomo pubblico. «Non crede» dice il personaggio del Convitato nel finale di Requiem, «che sia proprio questo che deve fare la letteratura, inquietare?». 
Tuttavia, forse anche per esorcizzare l’inquietudine, abbiamo riso molto con Antonio. Gli piaceva giocare con le parole e condividere il gioco con gli amici. Poi, se era in vena, leggeva qualcosa che aveva scritto sui quaderni neri, da scolaro, che usava sempre. Una volta ad Atene ci incontrammo per caso al Museo Archeologico e per festeggiare ci demmo appuntamento per mangiare insieme. Il nostro taxi non trovò mai il luogo prescelto. Adesso mi sento come quel giorno. Aspetto e so che non verrai.


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