Ammortizzatori, mancano due miliardi Fornero: ma il progetto non cambia

by Sergio Segio | 2 Marzo 2012 7:42

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ROMA – È solo una questione di soldi. Perché lo stop alla trattativa con sindacati e imprese sul mercato del lavoro non cambia il progetto del ministro del Welfare, Elsa Fornero, sulla riforma «profonda», come ha detto, degli ammortizzatori sociali. C’è bisogno di circa due miliardi in più, strutturali, a partire dal 2017 quando scatteranno le nuove tutele. Le risorse che il sottosegretario all’Economia Vieri Ceriani, è stato incaricato di ricercare in tempi brevi, nonostante lo scetticismo del viceministro Vittorio Grilli, serviranno proprio per estendere a tutti la cassa integrazione in caso di crisi aziendale o l’indennità  di disoccupazione in caso di perdita involontaria del lavoro. E sono state le prime simulazioni dei tecnici sul progetto Fornero a far capire al governo che senza nuove risorse sarebbe stato difficile arrivare in porto con la riforma. «Non si possono fare le nozze con i fichi secchi», ha detto ieri il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, interpretando a modo suo quello che pensano un po’ tutti i protagonisti della vicenda. Per trovare le risorse, Cisl e Pd propongono di attingere dagli oltre 20 miliardi di risparmi che a regime produrrà  la riforma delle pensioni; i metalmeccanici della Uil suggeriscono di utilizzare una parte dei proventi della lotta all’evasione fiscale. Più probabile che si faccia leva sulla spending review o sul riordino delle agevolazioni fiscali e contributive.
Così, a un mese esatto dalla dead line fissata dal premier Mario Monti per il negoziato con le parti sociali, sono gli ammortizzatori sociali il vero punto di snodo del confronto. Anche per questo il governo si è preso più tempo. Per evitare un passo falso. Tra lunedì e martedì è possibile che la Fornero incontri i leader di Cgil, Cisl, Uil e Ugl. Di certo il Consiglio dei ministri previsto per lunedì non affronterà  il tema. L’articolo 18, poi, arriverà  alla fine del negoziato, ma è ormai chiaro che, se l’obiettivo è l’accordo come ripete Monti, sono da escludere interventi radicali. Si dovrà  lavorare sull’unico spiraglio aperto dalla Cgil di Susanna Camusso: velocizzare le vertenze giudiziarie provocate da presunti licenziamenti senza giusta causa dando così certezza di costi anche alle aziende. Per ora questo sembra l’orientamento più condiviso.
Il ministro Fornero, dunque non ha alcuna intenzione di rivedere la sua proposta sugli ammortizzatori sociali. Però non è detto che i due miliardi possano essere sufficienti a convincere sindacati e imprese. Ci sono diverse variabili che vanno considerate. E tutti navigano a vista. La Fornero pensa a un sistema di ammortizzatori sociali con due capisaldi: la cassa integrazione per i lavoratori delle aziende in crisi congiunturale, e il sussidio di disoccupazione per chi perde il lavoro. Questo sia per l’operaio della grande industria sia per il parasubordinato. Niente più cassa straordinaria e indennità  di mobilità  che spesso si sono trasformati in lunghi sussidi per accompagnare alla pensione i lavoratori di aziende senza più una prospettiva produttiva. Ma – ed è questa l’obiezione soprattutto della Confindustria – se saltano alcuni istituti attualmente finanziati con i versamenti delle imprese e in parte dei lavoratori, le relative risorse dovrebbero tornare indietro a meno che non si voglia appesantire il costo del lavoro. Cosa che però il ministro ha escluso. Così nella ridefinizione del sistema, le imprese industriali, per le quali sono nati i vari istituti (a parte la cassa integrazione in deroga), potrebbero versare meno, mentre sono quasi certamente destinate a contribuire di più le piccole aziende artigianali e commerciali. Ostacolo non di poco conto. I “piccoli” hanno capito che dovranno contribuire ma ci vorrà  molta gradualità  perché passare, per il sussidio di disoccupazione, dall’attuale contributo dello 0,3 per cento sul monte salari all’1,6 per cento delle imprese industriali, non sarà  di certo indolore.
Il rischio – e questo allarma i sindacati – è che, pur incrementando le risorse, il modello Fornero possa sì ampliare la platea ma ridurre l’entità  dei sostegni e la loro durata.

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