Amato: “Colpire i monopoli non crea nuovi posti di lavoro”

by Editore | 15 Marzo 2012 8:12

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ROMA – Una radiografia del sistema-Italia alle prese con la crescita e i rischi impliciti nella fase attuale, con l’emergenza più acuta appena alle spalle e i problemi di competitività  sempre presenti. Una sorta di gran consulto sulle sorti del Paese, organizzato dal Cer di Giorgio Ruffolo in collaborazione con Nomisma, alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano e con relatori due ex presidenti del Consiglio, Giuliano Amato e Romano Prodi.
Niente di scontato perché è proprio Giuliano Amato a proporre nuove riflessioni, che hanno il sapore di un cambiamento di rotta rispetto ai luoghi comuni più in voga: «Ogni volta che abbiamo liberalizzato un monopolio abbiamo perso occupazione, non c’è una conseguenzialità  autentica tra liberalizzazioni e crescita dell’occupazione», ha detto l’ex presidente del Consiglio e dell’Antitrust. Dunque, ha proseguito Amato, la riduzione dei posti di lavoro va compensata con l’intervento dello Stato.
Tocca a Romano Prodi che attribuisce molte delle responsabilità  della perdita dei posti di lavoro alla rivoluzione informatica. «E’ la prima che non crea occupazione», dice. Ma anche dalle sue parole emerge più volte l’importanza della mano pubblica soprattutto quando mette in guardia dalla potenza della locomotiva tedesca: «I tedeschi stanno pensando di farcela da soli. Certo, sono prigionieri dell’euro, ma hanno una presenza pubblica fortissima e stanno agendo in profonda autonomia». Il rischio per l’Italia è quello di essere tagliati fuori dalla supply chain, cioè dalla catena dei fornitori dei Paesi più forti. I tedeschi ormai l’hanno costituita in Polonia e nelle Nazioni del centro Europa. I Paesi dell’estremo oriente si muovono programmando i loro investimenti sulla scia di quanto prevede di fare la Cina nei prossimi anni. Anche in questo caso la chiave sembra la programmazione.
Il lavoro del Cer, che compie trent’anni, è ora concentrato su un mega progetto di ricerca su “Competitività  e benessere”. «Perché la competitività  non si traduce più in benessere? La risposta sta nelle politiche pubbliche», spiega Stefano Fantacone, direttore del Cer e il “misery index” elaborato dal centro studi testimonia che il mix di inflazione e disoccupazione in Italia è cresciuto fortemente nel 2011-2012. «C’è un costo sociale dovuto alla mancata crescita», spiega Marcello Messori. E Paolo Guerrieri porta i drammatici dati del divario di integrazione commerciale con i Paesi della supply chain tra Italia e Germania.

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