Allegra, i passeggeri sbarcati alle Seychelles “Sembrava non finire più, ma siamo salvi”

by Editore | 2 Marzo 2012 8:26

Loading

MAHÈ – Tesa a morte, la cima di poppa sembra sul punto di spezzarsi. Il rimorchiatore arranca, con i motori a tutta forza tra il fumo nero tentando di frenare l’abbrivio di questo bestione lungo 180 metri. La Costa Allegra punta verso la scogliera, in balia dei tiranti di altri due battelli che si affannano per chiudere questa strana avventura della marineria moderna. «Se avessero calato le scialuppe di salvataggio sarebbe stata davvero la fine», sussurra un passeggero appena mette piede sulla terra ferma, alle Seychelles. Poi si volta verso l’Allegra, forse con la mente alla tragedia del Giglio e sentenzia: «Ecco sono, ancora lì; siamo rimasti tutti a bordo e non ci siamo quasi accorti di nulla».
L’ultima avventura della Costa Crociera si chiude alle 11 e 18 del giorno più caldo del nuovo anno. Il sole è implacabile. Picchia duro, aiutato da un’umidità  che rasenta il 90 per cento. Sulla banchina del porto d Mahè, liberata per l’occasione, c’era solo silenzio. Mille uomini e donne, assistenti, portuali, poliziotti, infermieri, hostess e steward, consoli di sei paesi, lo stesso ministro degli Esteri delle Seychelles, tutti con gli occhi puntati verso questa parete di acciaio e di ferro che si piega, vira e poi, finalmente, si ferma. A bordo, fiaccati da tre giorni e tre notti di caldo afoso, avvolti dall’oscurità  e dagli incubi dei pirati, c’erano 1049 passeggeri e uomini di equipaggio, che hanno assistito impotenti alle difficoltà  di una crociera segnata dalla sfortuna. E segnata anche dal sospetto: quello di un sabotaggio. Saranno le tre inchieste avviate a stabilirlo e ad accertare la dinamica. Tra i silenzi della compagnia, emerge solo un primo improvviso incendio alla sala dei generatori di poppa, l’avaria dei generatori di emergenza, il blocco di tutti gli impianti e dei servizi. Nel giro di 7 ore la nave mostra tutta la sua vulnerabilità  costretta, nonostante tre diversi sistemi di emergenza, a “sopravvivere” con le batterie sussidiarie e a navigare nell’Oceano Indiano al buio, con le sole luci di via, quelle che impediscono di farti speronare da altri bestioni del mare. 
L’incubo finisce quando l’Allegra con i suoi tre ponti, avvolti da cento vetrate, specchi, oblò. si avvicina alla banchina. Dall’alto nessuno si scompone. Non ci sono grida, urla, applausi. Neanche una mano alzata, un saluto, un fazzoletto agitato come una piccola bandiera. Da terra si filma e si scattano fotografie. Urla solo l’equipaggio, concentrato a poppa. Alzano le braccia, salutano, cantano. Scaricano una tensione accumulata per 60 ore. Si buttano sulla gomena che vibra sotto il peso della nave. Non c’è energia elettrica, gli argani sono fuori uso. Bisogna fare come ai vecchi tempi: tirare a mano. Scendono per primi gli ufficiali. Seri, impettiti. Controllano i bagagli che sono stati già  trasportati a terra. I banchetti dei consoli italiano, francese, inglese, svizzero, austriaco, tedesco, russo, restano isolati. Assieme a medici e infermieri della Croce rossa che hanno allestito un tendone per i controlli sanitari.
I passeggeri sbarcano dopo, a gruppi. Adesso hanno tutti voglia di raccontare, di ricordare, di ringraziare. Aldo Fuberti è un uomo massiccio, il viso segnato dal sole e dalla salsedine. «Era lunedì, 27 febbraio. Attorno alle 13. Stavamo in fila per mangiare. Abbiamo sentito i sette fischi dell’allarme. Li conosco bene, significa pericolo a bordo, pronti ad abbandonare la nave. L’equipaggio è stato fantastico – aggiunge – ci hanno aiutato, radunato nei punti di raccolta, contati. Il comandante perfetto, professionale. Paura? Un po’, sembrava non finire più». Arriva Sonia Borbo, di Pavia. Il marito vuole trascinarla verso i pulmini che attendono per il trasferimento negli alberghi messi a disposizione. Lei insiste, vuole dire la sua. «È stata una cosa improvvisa, inaspettata. Chi si trovava vicino ai locali dei generatori è stato investito dal fumo dell’incendio. È arrivato di corsa, ha lanciato l’allarme. In quel momento abbiamo avuto paura. È stata dura: mancava tutto, cibo, acqua, Soprattutto i bagni. Non si potevano usare». Si ferma anche Emilio Costella, di La Spezia. Partecipa a questa rievocazione collettiva. «Il cibo era comunque sufficiente. La gente continuava a mangiare. Solo la notte, al buio, faceva paura. I pirati? Avevamo i nostri angeli custodi a bordo», replica con aria ammiccante riferendosi ai marò a bordo dalla partenza. Altri raccontano le notti al buio: «Dovevamo dormire sul ponte per il caldo, in mancanza di aria condizionata e con la gente ammucchiata; il cibo c’era ma non cotto, abbiamo mangiato pane». 
L’arrivo del peschereccio d’altura francese che ha rimorchiato la nave alle Seychelles è stato come un miraggio. Le difficoltà  nascevano dall’Oceano Indiano. «Le correnti fortissime», racconta il comandante Nicolò Alba, «ci facevano traversare. I francesi sono stati bravissimi. C’erano anche altri tre rimorchiatori. Ma alla fine abbiamo scelto di farci trainare solo dal peschereccio: era l’unico che poteva spostare tonnellate di ferro. Non sappiamo ancora le cause dell’incendio. E non mi so spiegare perché i generatori di emergenza ci hanno abbandonato dopo solo 4 ore. La nave sembrava in coma. Non è stato facile, poteva andare molto peggio. Ha funzionato tutto a dovere». Alba ha un momento di commozione, la voce si incrina. Scuote la mano. «Adesso devo andare. Voglio tornare dalla mia Allegra. Voglio capire, portarla di nuovo a casa. In Italia». Fuori, nella capitale di questo paradiso conquistato e gestito dai francesi e dagli inglesi, antica base dei pirati, fiero della sua anima creola, si prepara la grande festa. Tre giorni di musica, balli e fiumi di alcol. È il Carnevale. La vita riprende. Anzi, non si è mai interrotta. I turisti sono l’anima delle Seychelles. E anche tra i viaggiatori della Allegra c’è chi ha scelto di rimanere qui: il 70% di loro proseguirà  la vacanza. A terra.

Post Views: 205

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/03/allegra-i-passeggeri-sbarcati-alle-seychelles-qsembrava-non-finire-piu-ma-siamo-salviq/