Al pranzo di Cernobbio pausa sorriso tra duellanti Monti chiede l’armistizio

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CERNOBBIO – L’auto blu di Mario Monti parcheggia nella corte di Villa d’Este intorno all’una. Il premier non si sofferma a guardare il paesaggio, entra spedito nell’elegante salone preparato per il pranzo d’onore del forum di Confcommercio. È il momento chiave del sabato pomeriggio che trascorrerà  a Cernobbio. Monti si siede al tavolo rotondo apparecchiato a ridosso della vetrata che affaccia sul lago e sulle montagne che circondano Como. Alla sua destra si accomoda il segretario della Cgil Susanna Camusso. Fuori dalla vetrata si accalcano fotografi, cameraman e giornalisti: è la foto che il premier andava cercando. Ci sono anche Enrico Letta, Angelino Alfano, i ministri Gnudi e Profumo e lo stato maggiore dei commercianti guidato da Carlo Sangalli.
Si racconta che il pranzo sia stato organizzato da Sangalli su esplicita richiesta di Monti, che ha anche dettato la lista degli invitati. Bisogna spazzare il clima pesante lasciato sul terreno dalla riforma del lavoro. La faccia della Camusso è tesa. Monti è più rilassato. Di fianco ha voluto la leader della Cgil, senza i colleghi di Cisl e Uil, per siglare un armistizio. Che alla fine sarà  solo formale. È Sangalli a rompere il ghiaccio. Frigge perché rischia di non arrivare in tempo a San Siro per Milan-Roma. Lo dice a Monti, gli chiede se anche lui segua i rossoneri. Il professore scherza, dice che era tifoso negli anni Cinquanta. Poi interviene Alfano: «Beh, a giorni Berlusconi tornerà  a fare il presidente del Milan, una buona notizia per un tavolo di milanisti…». Ridono tutti e da lì, almeno da un punto di vista visivo, il pranzo è in discesa. 
La Camusso scherza sulla cravatta di Monti punteggiata da tante piccole civette: «Non saranno mica gufi?». Scorrono le portate (tortelli di pesce e rombo con verdure), i presenti battezzano la tavolata come il nuovo ABC: non c’è Casini e la maggioranza si trasforma in AlfanBersani-Camusso. Proprio Bersani arriva in ritardo, si siede alla sinistra di Monti. Nel frattempo si è accomodato anche il direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli.
Dopo il caffè il premier prende a braccetto la Camusso, e si incamminano nel giardino di Villa d’Este. Qui si torna a fare sul serio. Il premier le anticipa quanto dirà  alla platea dei commercianti: la riforma del lavoro non si tocca, i sindacati hanno detto la loro e il governo ha deciso. «Si chiama consultazione, non concertazione». Come si fa a Bruxelles dove Monti, da commissario europeo, si è formato politicamente. Si avvicina il presidente della Camera Gianfranco Fini. «Ecco che arriva il Parlamento, ora tocca a loro», dice Monti. «Alle parti sociali si dà  la possibilità  di guardare», scherza Fini. «Macchè guardare, noi premeremo su di loro», risponde la sindacalista. «Temi che saranno impermeabili?», chiede Monti. «Non possono essere impermeabili, le parti sociali sono il fondamento della vita sociale del Paese», ribatte la dama di ferro della Cgil. 
L’intento del premier era quello di svelenire i rapporti, di presentare al Paese una foto che parlasse di dialogo, di «confronto diplomatico», come lo chiama un ministro a Cernobbio. Perchè le Camere chiudano sulla riforma ci vorranno mesi e in mezzo ci saranno le amministrative. Meglio abbassare la tensione e rimandare a dopo il confronto tra partiti e governo su come cambiare la riforma. Ma sostanzialmente le posizioni non si avvicinano. Va in scena un braccio di ferro: il Pd vuole iniziare l’esame della riforma alla Camera, il Pdl al Senato dove spera di poter contare sui riformisti del Pd Ichino e Treu e sul presidente Schifani. Intanto, racconta un ministro di peso, il governo va avanti sulla sua strada: «In Parlamento difenderemo il nostro testo che riteniamo equilibrato, capiamo i problemi del Pd ma non si può bloccare tutto».


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