A Montauban tra i parà  della caserma dell’odio “Abituati al pericolo, ma non a un nemico così”

by Editore | 21 Marzo 2012 6:55

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MONTAUBAN – Droit au but, “dritti al punto”, recita la bandiera dell’Olimpique Marsiglia issata sulla parete del bancomat della Caisse D’Epargne, di fianco al minimarket dei militari. Sull’asfalto, mazzi di fiori e biglietti. Il “punto” dove è avvenuta l’esecuzione del caporale Abel Chennouf e del soldato semplice Mohamed Legouad è qui, a dieci passi dal muro con filo spinato della caserma del 17° reggimento del Genio paracadutisti. La “caserma dell’odio”, come la chiamano adesso. La caserma dei buoni e dei cattivi, quelli del melting-pot militare (ci sono soldati originari di decine di Paesi) e quelli che se ne sono andati coi saluti nazisti e forse sono ritornati indossando la divisa della morte. Il nome della strada, per chi ci crede, evoca una coincidenza sinistra: Rue du première bataillon de choc. Il “battaglione di scontro”. Che adesso è sotto choc. Pensavano di avere già  dato abbastanza in Afghanistan i parà  di Montauban – cinque morti dopo il 2006, uno dei reggimenti che ha pagato il prezzo più alto – e invece il conflitto più atroce sta diventando questa guerra invisibile dichiarata dallo «stesso killer della scuola ebraica» (così Nicolas Sarkozy). Una guerra reale e psicologica, con regole di ingaggio inedite: uno scooter, due pistole e una telecamera GoPro, modello in uso ai parà . «Ho paura, questo pazzo è in giro armato e magari domani tocca a qualcun altro di noi», stringe le spalle Youssef, 23 anni, magrebino come le due vittime dell’agguato del 15 marzo davanti al minimarket (un terzo militare, Loic Liber, originario della Guadalupa, è stato gravemente ferito). «Abbiamo ricevuto la consegna del silenzio, ma se incontri altri commilitoni ti diranno tutti che hanno paura. Siamo paracadutisti, abituati al pericolo ma non a uno che ti spara mentre fai la spesa». 
Chi è il pazzo armato che uccide ogni quattro giorni (11, 15, 19 marzo)? È l’incubo che tormenta le prestigiose uniformi del 17° reggimento. Nel 2008 tre soldati furono espulsi dalla caserma dopo che Le Canard Enchainé pubblicò la loro foto: braccio destro teso e bandiera con la svastica. La polizia li ha interrogati e sembra avere escluso un loro coinvolgimento nella scia di sangue contro militari meticci e bambini ebrei iniziata l’11 marzo a Tolosa e proseguita con l’agguato di Montauban e quello davanti alla scuola ebraica. Perché, allora, Sarkozy parla di uno stesso omicida? Come si tengono i soldati magrebini e i bambini ebrei? «In questa vicenda, per noi molto dolorosa, ci vuole controllo ed equilibrio», dice il generale Patrice Paulet, a capo della 11° Brigata paracadutisti. «Niente psicosi né paranoie». Già , ma dentro e fuori la cittadella militare di Montauban la tensione è alta. 
I soldati entrano e escono alla spicciolata, in giro si vedono solo ragazzi in borghese: niente divise. Fuori di qui i baschi bordeaux e le tute mimetiche sono vietate, dopo quello che è successo «è meglio così», spiega un ufficiale. Chi si lascia alle spalle il perimetro del fortino si protegge dentro un giubbino jeans e un cappellino. Arrivano in gruppi, a piedi e in silenzio, attraversano il parco con al centro il monumento ai caduti di guerra, i vecchi là  in fondo che giocano a bocce. Capelli rasati, certo. Quasi tutti così, nel 17° reggimento. Sono riconoscibilissimi, figurarsi per chi è stato uno di loro. Sotto le teste scolpite dalla macchinetta ci sono immigrati e figli di immigrati, in pieno stile villaggio globale francese. «Qui c’è gente da ogni angolo della Terra», esagera ma neanche troppo Jeanpierre. «Nessuna razza e nessuna distinzione, però: siamo tutti francesi. Penso a quei bambini uccisi davanti alla scuola, e ai miei camerati fatti fuori da uno psicopatico che magari non sopportava le loro origini».
Oggi pomeriggio nel cortile della caserma del Genio – il simbolo è un’aquila sospesa tra un paracadute e un’ancora – si svolgerà  una cerimonia in memoria delle vittime del boia (ancora misterioso) di Tolosa. «Siamo impegnati nell’organizzazione», dicono gli alti ufficiali. Si capisce che intorno alla caserma e ai suoi misteri, anche per rispetto delle indagini della magistratura, è stata eretta una cortina di silenzio. «Aspettiamo che l’inchiesta vada avanti», si limita a dire il generale Paulet. Tra il 2007 e il 2008, quando alcuni militari avevano denunciato ai vertici del reggimento che dei commilitoni esaltati si divertivano a fare il saluto nazista e a inneggiare al Terzo Reich, i capi non si erano distinti per sollecitudine. Quelle segnalazioni erano rimbalzate addosso ai mittenti. Poi le foto delle parate nazi negli stanzoni sono state mostrate al mondo, e in superficie è emersa un’altra storia. «Cercheremo di individuare dove sono state prese queste immagini», rassicurò allora il capitano Claude Saunire. I tre fanatici che vivevano nel culto del Fà¼hrer furono congedati preventivamente. Sembrava un passato lontano, una storia da bamboccioni palestrati. Adesso il passato ritorna, portandosi dietro i suoi misteri.

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