800 miliardi di euro sul tavolo E potrebbero non bastare
L’accordo è minimo, il club del rating AAA, Germania e Finlandia in testa, non ha voluto accettare di più. La ministra delle finanze austriaca, Maria Fekter, ha cercato di abbellire il risultato, affermando che 800 miliardi di euro equivalgono a 1000 miliardi di dollari, una cifra tonda, fatta per convincere il Fondo monetario internazionale ad intervenire a favore della zona euro in crisi. L’accordo a Copenhagen, difatti, è preliminare per permettere alla zona euro di presentarsi con un po’ di credibilità al G20 di aprile a Washington, dove verrà discusso l’aumento dei contributi all’Fmi. Angela Merkel ha accettato di addizionare ai 500 miliardi di euro di dotazione del Mes i 200 miliardi che restano nei fondi del Fesf (quando venne fondato erano 340, ma nel frattempo ci sono stati gli interventi per Irlanda Portogallo e Grecia). Per arrivare a 800 miliardi sono stati sommati 49 miliardi che restavano da un primo «Meccanismo» varato come prima risposta alla crisi e 53 miliardi degli aiuti bilaterali alla Grecia. L’Ocse e la Commissione avevano chiesto un parafulmine di 1000 miliardi di euro, che Berlino però ha seccamente rifiutato.
In altri termini, la zona euro ha raschiato il fondo del barile per presentare i «mille miliardi» di dollari che tutti sperano di non dover tirare fuori. La Germania – primo contributore – si è impegnata intorno ai 300 miliardi, una cifra che spaventa l’elettorato, che non vuole pagare per le «cicale del sud». Ma Merkel ha imposto che potranno avere accesso al Mes, che è un meccanismo di solidarietà , solo i paesi che avranno approvato il «Fiscal Pack», il patto fiscale di austerità , sottoscritto da 25 paesi ma non ancora ratificato da nessuno.
Anche se le Borse si sono un po’ calmate la crisi però morde sempre più forte. Ieri, in Spagna, malgrado le forti proteste, il governo Rajoy ha presentato un programma di tagli di 27 miliardi per quest’anno, la gran parte sulle spalle dei salari della pubblica amministrazione, che verranno congelati. E mentre il fronte spagnolo è sotto minaccia, si è riaperta una nuova falla su quello greco: il primo ministro, Lucas Papademos, ha fatto capire che la Grecia avrà bisogno molto probabilmente di un terzo piano di aiuti entro il 2015 anche se il secondo è appena partito. Com’è noto, infine, anche la situazione italiana resta a rischio, mentre la recessione martella tutta la zona euro e minaccia catastrofi sui paesi più deboli.
La riunione dell’Eurogruppo non ha solo ribadito la divisione sempre più profonda tra «Nord formica» e «Sud cicala», ma ha segnato anche una profonda fessura nel fronte franco-tedesco. E’ sempre più evidente che la Francia, in piena campagna elettorale, non può tenere il passo con la Germania. La Francia di Sarkozy ha perso il rating AAA e adesso il presidente-candidato non può soltanto fare la voce grossa e promettere ancora tagli, in un paese che ha già il 10% di disoccupati e 11,2 milioni di poveri.
Parigi ha anche chiesto che il ricambio alla testa dell’Eurogruppo avvenga solo a presidenziali concluse. Per succedere al lussemburghese Jean-Claude Juncker, che però sarebbe felice di rimanere al suo posto, è stato fatto con insistenza il nome del ministro delle finanze tedesco, Wolfang Shà¤uble, grande difensore dell’austerità . I paesi del Sud, Spagna e Grecia in testa, lo temono. La Francia, d’ora in poi, anche.
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