8 marzo. Una festa vuota…

by Editore | 6 Marzo 2012 11:37

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Quest’anno, anzi, sembra che qualcuno abbia deciso di festeggiarla in anticipo, questa bella ricorrenza, colto da un improvviso scatto di impazienza. È la notte del 4 marzo, e Mario Albanese, originario di Modugno, ha ucciso a Brescia la ex moglie Francesca Alleruzzo, il suo nuovo compagno, la figlia ventenne di lei e il suo fidanzato, nella stessa abitazione in cui dormivano anche le tre figlie della coppia, rispettivamente di 5, 7 e 10 anni. E l’ha uccisa dopo averla perseguitata per mesi, perché, come recita il vecchio adagio, “o sei mia o di nessun altro”. Una storia – è terribile dirlo, ma è così – come tante, come troppe storie tutte uguali che giornalmente infestano le cronache nazionali, o che magari (se non intervengono eroici carabinieri, o se a rimanere uccisa è solo la ex moglie di turno) non riescono neanche a uscire al di fuori della cronaca cittadina.

Qualcuno potrebbe dire che va bene, che le tragedie accadono a tutti e che la follia purtroppo alberga in posti insospettabili. Però non si tratta di tragedia, né di follia. Si tratta di normalità . Una normalità  che è figlia di quella stessa cultura, di quello stesso modo di pensare che ci porta, anno dopo anno, a festeggiare la vuota festa dell’8 marzo.

È una normalità  fatta di numeri, cifre, percentuali: secondo il Rapporto Italia 2011, pubblicato dall’Eurispes, in Italia si sono consumati, tra il 2009 e il 2010, circa 10 omicidi in famiglia al mese. Nel biennio 2009-2010 si sono registrati 235 omicidi domestici (122 nel 2009 e 113 nel 2010), la maggior parte dei quali vedeva coinvolti soggetti appartenenti alla medesima cerchia familiare, e di cui ben 57 sarebbero ascrivibili ai cosiddetti “omicidi di relazione”.

Per la maggior parte dei casi gli autori di omicidi “domestici” erano maschi (85,7% nel 2009 e 84,9% nel 2010), ma anche le donne, sebbene in numero decisamente minore, sono riuscite a ritagliarsi qualche momento di gloria. Ad ogni modo, sono state il 70,5% le donne uccise nel 2009 e il 62,8% quelle che hanno perso la vita nel 2010, tra le mura domestiche. Tra queste, la maggior parte erano mogli o conviventi. Se poi si andasse a indagare nel settore delle violenze domestiche i risultati sarebbero ancora più gravi.

Dunque, normalità . Peggio, quotidianità . Una quotidianità  che si fonda non tanto sul problema del genere (che è marginale), quanto sull’evidente confusione tra il concetto di amore e quello di possesso. Un fraintendimento “storico”, e che tuttavia una società  fondata sul culto della “proprietà ” non riesce ancora a risolvere.

Il problema del genere, poi, viene di conseguenza. Ce lo ricorda Simone de Beavoir, dalle sue foto dai toni seppiati: «La situazione della donna si presenta in questa singolarissima prospettiva: pur essendo, come ogni individuo umano, una libertà  autonoma, ella si scopre e si sceglie in un mondo in cui gli uomini le impongono di assumere la parte dell’Altro […] pretendono di irrigidirla in una funzione di oggetto e di votarla all’immanenza, perché la sua trascendenza deve essere perpetuamente trascesa da un’altra coscienza essenziale e sovrana». Simone de Beavoir, pioniera del femminismo, fu la prima, nel suo trattato “il secondo sesso”, ad affrontare una seria riflessione sull’inesistenza del soggetto-donna, partendo dall’analisi per cui in ogni cultura stereotipi, miti e rappresentazioni letterarie sono determinati dalla società , una società  in cui l’uomo si è posto da sempre come unico e solo creatore della cultura. Un fraintendimento, quindi, quello tra “amore” e “possesso”, che deriverebbe dall’uomo, e che solo in questo senso potrebbe determinare una vera e propria questione di genere.

Eppure da Simone de Beavoir il femminismo ne ha fatti di passi avanti (anche se, a dire il vero, dopo gli anni ’90 sembra che le donne abbiano incominciato a ripercorrere il cammino in senso inverso), e incolpare l’uomo di tutte le storture della nostra cultura e della nostra società  – o del fatto che le donne le accettano senza porsi problemi – può essere utile solo fino a un certo punto. Dalle teorie femministe si è ben presto passati ai gender studies,che a loro volta si sono evoluti nelle teorie queer. L’identità  di genere viene ben presto disancorata (per lo meno a livello teorico, e ovviamente non in Italia) dalla biologia, e Judith Butler, massima ideologa della teoria “queer”, inizia a postulare la mutevolezza di un soggetto sempre più complesso e difficilmente riconducibile a categorie prestabilite.

E si ritorna all’8 marzo. La “festa della donna”, una ricorrenza per la quale ci dovrebbe essere ben poco da festeggiare. L’8 marzo è ricordo di una tragedia, una tragedia che risale al 1908 e che coinvolse un gruppo di donne morte a causa di un incendio nell’industria tessile in cui lavoravano, bloccate all’interno della struttura dal proprietario a causa della loro decisione di protestare contro le condizioni atroci in cui erano costrette a lavorare. L’8 marzo è una ricorrenza che porta la firma e il volto (anche questo nelle tonalità  dei grigi) di Rosa Luxemburg, che proprio in ricordo della tragedia propose questa data come una giornata di lotta internazionale a favore delle donne.

E si ritorna all’attualità , alla normalità  del nostro tempo. Un tempo in cui la questione di genere si è ridotta alla libertà  delle donne di protestare contro loro stesse, creando nuove immagini e nuovi stereotipi per screditare “l’Altra”, laddove una volta si screditava “l’Altro”: puntando a creare nuove categorie, piuttosto che cercare di buttar giù i paletti di quelle precedentemente costruite. Un tempo in cui la giornata della donna viene sfruttata per far girare denaro, piuttosto che per porre l’accento su una situazione (quella degli omicidi e delle violenze domestiche) che è lontana anni luce dalla sua risoluzione. Una situazione in cui donne e uomini cessano di esistere, e in cui al loro posto subentrano gli oggetti, insieme a tutto ciò che può essere posseduto.

E allora, oggi, una sola domanda sorge spontanea: a cosa serve una festa della donna, nel momento in cui abbiamo perso il nostro senso di umanità ?

Equilibrismi

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