Vince “The Artist” omaggio al passato

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LOS ANGELES – La notte dell’84mo Oscar si è conclusa nel segno della nostalgia. Il fatto che il premio come miglior film (e altri quattro, fra i quali ai migliori attore e regista) sia andato, come era nelle previsioni, al francese The Artist, un racconto in bianco e nero e muto, simboleggia bene i sentimenti autoreferenziali che animano Hollywood e la sua nostalgia per i passati splendori. Così come è significativo l’Oscar come non protagonista (per Beginners) a Christopher Plummer, il grande attore inglese qui alla sua prima vittoria, a 82 anni: il più anziano premio Oscar della storia. E va in questa direzione persino la statuetta a Meryl Streep (terzo Oscar, e un numero di candidature record, 17), per The Iron Lady: splendida, geniale e in piena forma artistica a 62 anni. Grande soddisfazione per il nostro Dante Ferretti, 69 anni, giunto al suo terzo Oscar (proprio il giorno del suo compleanno), per le scenografie di Hugo Cabret, che sembra toccare adesso l’apice magistrale della sua pur luminosa e lunghissima carriera, iniziata negli anni ‘60 con Pasolini e Fellini. 
La vittoria della Streep è stata forse l’unica (relativa) sorpresa della serata, dal punto di vista dei premi: si dava per favorita Viola Davis per The Help. La Streep è apparsa sinceramente sorpresa nel sentire il suo nome e ha scherzato: «Immagino che a casa un sacco di gente dirà : Oh, no, ancora lei… E chi se ne importa!» ha aggiunto scoppiando a ridere. Ma si vede che il pubblico – almeno quello presente – l’adora e ha salutato con entusiasmo la scelta dell’Academy di premiare un’attrice sempre eccellente anno dopo anno. Lo stesso entusiasmo ha accompagnato, con The Artist, il ritorno di Hollywood all’era del muto: era dal 1929, ovvero dalla primissima edizione degli Oscar, che un film muto, “Wings”, non vinceva la statuetta. George Clooney lo aveva anche detto già  sul tappeto rosso che questa sarebbe stata una serata “francese”… 
Ma non tutti si sono uniti al coro di elogi per The Artist: alla festa di beneficenza (per l’Aids) tradizionalmente ospitata da Elton John, al Pacific Design Center di West Hollywood, circolavano commenti non del tutto convinti che il film di Hazanavicius sia quel capolavoro sventolato dall’abile promotore Harvey Weinstein, che ha distribuito e pubblicizzato il film in Usa. “Sopravvalutato” era l’aggettivo più usato. Più di 900 persone erano raccolte sotto il tendone della festa di Elton John che ha raccolto oltre 10 milioni di dollari grazie a inviti che andavano dai 3500 dollari in su. 
La cerimonia dell’Oscar è stata condotta da Billy Crystal, che ha chiaramente surclassato i maestri di cerimonie delle trascorse edizioni: un autentico istrione, dalla spassosa vignetta iniziale registrata in cui lo si vedeva inserito in ogni film candidato – compresa la scena del bacio in bocca fra lui e George Clooney, in una citazione da “Paradiso amaro” – alle sue odi canore per ciascun film. 
Per gli appassionati del glamour hollywoodiano, non è passata inosservata la gamba nuda di Angelina Jolie con spacco inguinale, magra come un chiodo (ieri era uno dei temi più seguiti di Twitter), né il fondo schiena ostentato da Jennifer Lopez e Cameron Diaz mentre presentavano l’Oscar ai costumi, scoppiando poi a ridacchiare come due liceali. Ha fatto ridere i fan assiepati intorno al tappeto rosso il comico inglese Sacha Baron Cohen, alias Borat, che nonostante le velate diffide dell’Academy si è presentato camuffato da dittatore mediorentale – più stile Bananas che Gheddafi, in realtà  – per lanciare la sua nuova commedia “The Dictator”.


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