by Editore | 15 Febbraio 2012 9:30
Voi lo sapete – perché ce lo segnalate via email, twitter o telefono – ma in Puglia, Calabria, Campania, Toscana, Lombardia ed Emilia-Romagna, nei primi giorni di febbraio il giornale è arrivato poco e male. Senza contare l’assenza dalle isole per la scandalosa decisione di Poste italiane di sospendere i voli postali (utilizzati prevalentemente da testate di sinistra come noi, Unità e Liberazione). Dove siamo arrivati, però, la «campagna acquisti» ha iniziato a funzionare.
È splendido ma non basta. Purtroppo non basta affatto. Noi e voi possiamo fare meglio di così. E lo faremo già da questa settimana, appena il tempo si normalizzerà . Noi e voi, infatti, ci siamo. Chi manca ancora è il governo. Ed è un’assenza decisiva, esiziale. Come abbiamo cercato di spiegarvi in lungo e in largo negli scorsi mesi, i problemi del manifesto (e dei giornali non profit e in cooperativa) sono di due tipi diversi. Da un lato c’è un problema editoriale, industriale e finanziario (vendite insufficienti, penalizzazioni pubblicitarie, costi fissi di gestione troppo alti e così via). E questo lo possiamo – lo potremo, lo potremmo – risolvere con il liquidatore, migliorandoci o facendo scelte amministrative più precise. Dall’altro c’è un problema strutturale, sul quale noi e voi non possiamo fare poco o nulla. E sono i tagli retroattivi al fondo editoria. Senza un intervento del governo nelle prossime ore noi saremo costretti a chiudere e basta. Qualsiasi sforzo facciamo.
Proviamo a spiegarlo in maniera semplice: nel 2012 (cioè adesso) il governo deve stanziare i fondi per l’editoria che coprono l’anno 2011. Si tratta (per i giornali veri, truffatori esclusi) di un rimborso per spese già sostenute nell’anno appena finito. Di conseguenza, se quel rimborso è insufficiente, il bilancio 2011 non si può approvare e l’impresa chiude, come è già accaduto a tante cooperative locali e a testate più o meno note. Perdonate il paragone un po’ cruento. Ma è come se con le manovre dell’estate scorsa Giulio Tremonti avesse sparato una pallottola e noi stessimo ancora aspettando di ricevere il colpo. Ci potrà uccidere, colpire di striscio, azzopparci. Difficilmente, lo sappiamo, mancherà il bersaglio. Attualmente quel proiettile mira al cuore. I 53 milioni di euro complessivi stanziati finora dal ministero dell’Economia (un taglio del 75% rispetto al già decurtato anno precedente) non bastano né a noi né alle 90 testate a rischio chiusura. Lo stato, quando chiuderemo, spenderà molto di più in ammortizzatori sociali, mancato gettito e oneri finanziari. Noi non siamo un giornale «assistito». O meglio, lo siamo ma solo in parte. Facendo una media dal 2006 al 2010, il 58% dei ricavi del manifesto proviene da vendite in edicola o abbonamenti. Il 7% dalle sottoscrizioni che facciamo periodicamente e l’11% arriva dalla pubblicità (nei giornali “normali” la pubblicità è sempre superiore al 45% dei ricavi). Il contributo pubblico ammonta, in media, al 24%. Per tre quarti, dunque, provvediamo da soli e con voi. Ma contro un taglio così forte e retroattivo non abbiamo difese. E quello che non è riuscito a fare Berlusconi entrerà nel ricco curriculum vitae del professor Monti.
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