Una Tobin Tax non aiuta i mercati

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Ma c’è tassa e tassa. In Italia sono state introdotte tasse di complessa applicazione e interpretazione, come il bollo sugli scudi fiscali pregressi, o tasse che rischiano di produrre un gettito risibile in relazione ai potenziali effetti recessivi che potrebbero generare in alcuni settori (auto di lusso, diportistica navale, aerei). Basti solo pensare alla contrazione del mercato italiano delle auto di lusso. I dati Unrae confermano un forte calo delle vendite di Ferrari (56%) e Maserati (47%) rispetto al gennaio del 2011. Per non parlare dei riflessi sul settore dell’usato. Altre nuove tasse, invece, come quelle sul settore immobiliare, sembrano in grado di generare un immediato beneficio sui conti pubblici e di dare luogo a un gettito duraturo strutturale. 

Arriviamo così al recente caso della discussa introduzione, da parte di nove paesi europei tra cui l’Italia (gli altri sono Belgio, Finlandia, Spagna, Grecia, Austria e Portogallo, Francia e Germania), di una ulteriore tassa sulle transazioni finanziarie, la cosiddetta Tobin Tax. Il suo paladino, in chiave elettorale, è Nicholas Sarkozy. Dalla prima volta in cui fu proposta del suo ideatore James Tobin, nel 1972, non ha praticamente mai trovato concrete e durature applicazioni. Ma ora la sua eventuale introduzione in Italia merita una riflessione. È un caso limite, tra i potenziali benefici sui conti pubblici ed effetti recessivi sul settore dell’intermediazione finanziaria e dei suoi occupati. A far riflettere è uno studio commissionato a Oxera, una delle più note società  di consulenza indipendenti, da Association for Financial Markets in Europe, Assosim e Nsa. 
L’analisi mette in risalto come la commissione europea abbia seriamente sottostimato l’impatto negativo che questa tassa è destinata a produrre sull’economia. Sarebbe stato sottovalutato l’impatto su investitori e imprese, mentre si dà  per scontato (senza un riscontro tangibile) che la Tobin Tax possa costituire un freno all’eccessiva attività  speculativa (ammesso che essa risulti poi dannosa per i mercati). Non si tiene poi in conto il rischio di fuga di capitali verso i cosiddetti paradisi fiscali e normativi. L’imposta avrebbe poi conseguenze gravi se trovasse applicazione solo in alcuni paesi dell’Unione: gli altri si troverebbero infatti in un vantaggio competitivo difficilmente contrastabile. Ma l’elemento più critico sarebbe l’impatto sul nostro Pil. Se in seguito all’introduzione della Tobin Tax la Commissione Europea stimava una riduzione dello 0,53% del Pil dell’Unione europea, i dati forniti da Oxera incrementerebbero a più del doppio il possibile impatto negativo. Il differenziale tra i minori incassi sui proventi dell’attività  di intermediazione e gli introiti derivanti dal maggior gettito fiscale darebbe un saldo negativo, simile a quello registrato sulle auto di lusso.
Per un Paese come il nostro, inoltre, potrebbero generarsi ulteriori fonti di preoccupazione per i riflessi occupazionali. Gli addetti del settore rappresentano una buona parte dei 350mila dipendenti del settore bancario e dell’intermediazione monetaria e finanziaria (secondo i dati disponibili al 2010). Il governo Monti sta incassando risultati impensabili sino a qualche tempo fa in termini di immagine internazionale e di riduzione dello spread. Risultati in larga parte riconducibili, oltre che alla manovra sulle pensioni, agli interventi del governo su liberalizzazioni, riduzioni di spese e privilegi, più che all’imposizione di dolorosi sacrifici fiscali. Il rischio insito oggi nel perorare la causa di una Tobin Tax dagli esiti incerti non è pari ai vantaggi, ad esempio, di un taglio dei rimborsi elettorali, delle province e degli enti inutili.
*Vice direttore centrale 
Banca Akros


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