UNA STRATEGIA DI CRESCITA PER SALVARE LA GRECIA
L’eurozona delle dimensioni attuali invece avrebbe potuto essere il passo successivo alla creazione di un’unione politica, delle istituzioni ma anche degli animi, se e quando si fosse dimostrato possibile.
A questo fine sarebbe servito un certo grado di cameratismo e, per così dire, di intercambiabilità tra tedeschi e greci paragonabile a quella esistente tra i cittadini del New England e quelli dell’Alabama negli Stati Uniti e (a meno che non si voglia credere al leader nazionalista scozzese Alex Salmond) tra inglesi e scozzesi nel Regno Unito. Popoli molto diversi, che accettano però la redistribuzione del gettito fiscale da un luogo all’altro, pronti e capaci di trasferirsi e di lavorare in entrambi i luoghi, dotati di una politica, di un bilancio, di media e di una sfera pubblica comune.
Se solo. Se mai. Ma, come dice lo psicologo ai pazienti depressi, bisogna partire dalla situazione reale, non rimuginare ossessivamente su ciò che avrebbe potuto essere. Nessun rimpianto. Partiamo da qui. Tiriamo fuori il massimo da ciò che abbiamo. Troviamo il modo di migliorare la situazione.
È quello che i leader dell’eurozona sostengono di aver fatto. Bisogna dar loro merito di essersi impegnati a fondo. Hanno lavorato notte e giorno per far quadrare molti cerchi. È facile criticare da bordo campo. Ma, e questo va ribadito per l’ennesima volta, per ora non sono riusciti nell’intento. Solo che allungando i tempi non danno calci a un barattolo, come si dice da noi, ma a una bomba molotov.
Per ora in Grecia esiste una solida maggioranza favorevole a restare nell’euro. Mi è però difficile credere che i greci possano accollarsi per mesi e per anni i sacrifici estremi che vengono loro richiesti con l’unica motivazione che “uscire dall’euro sarebbe peggio”. Si sentono già abbastanza storie strazianti di giornalisti, insegnanti, impiegati statali ridotti a fare la fila alla mensa dei poveri. Studenti di una “generazione bruciata” che hanno lasciato il Paese o sono in procinto di farlo. Il tasso di disoccupazione al 21% e in aumento. Circa 150.000 imprese costrette a chiudere. Il salario minimo da ridurre di più di un quinto. A migliaia in strada, i senzatetto la notte, i dimostranti il giorno. L’ottuagenario musicista MikisTheodorakis–beniamino di generazioni di turisti tedeschi – ha invocato la “rivolta”. E il governo deve porre in atto un’ulteriore serie di misure di austerity e liberalizzazione nel corso della prossima settimana, prima di poter ricevere i 130 miliardi di euro del pacchetto salvataggio.
Seduto al suo solito tavolo nella solita Kneipe davanti alla sua copia di Bild, il lettore tedesco potrà anche bofonchiare “cosa vogliono, la colpa è loro”. Ma sbaglia. È vero che gran parte della colpa è da attribuire all’irresponsabilità , alla disonestà e alla corruzione imperanti in Grecia sia in politica che in campo imprenditoriale. Ma le dimensioni della tragedia e la difficoltà di uscirne derivano anche dal fatto che la Grecia fu accettata in un’eurozona mal strutturata, eccessivamente estesa; che i mercati finanziari e le banche (incluse quelle tedesche e francesi) con il loro atteggiamento positivo nei confronti dell’eurozona incoraggiarono quell’irresponsabilità ; e che queste misure di salvataggio sono pensate per aiutare quelle banche tanto quanto per aiutare la Grecia. Le colpe quindi sono comuni.
Si può non essere d’accordo ma anche la responsabilità per uscire dalla crisi è comune. Questo è palese finché la Grecia resta nell’eurozona, ma anche se ne esce, resterà comunque un Paese membro dell’Ue e l’Unione avrà sempre una qualche responsabilità morale e storica del marasma in cui si è infilata assieme alla Grecia.
Esiste poi l’altro problema, chiamato democrazia, parola di derivazione greca. Molti leader europei ufficiosamente concordano con il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schà¤uble che sarebbe meglio se la Grecia non andasse alle urne in aprile come previsto. Democrazia? La parola al popolo? Che idea terrificante. Ma i greci avranno la parola. A meno che non venga prospettata una qualche realistica opportunità di crescita, i partiti che si oppongono alle drastiche condizioni imposte dal salvataggio potrebbero ottenere la maggioranza. Nessuno (anche se parecchi forse vorrebbero) potrà seguire l’ironico suggerimento di Bertolt Brecht: sciogliere il popolo ed eleggerne un altro.
Ad aprile mancherà ancora più di un anno alle elezioni tedesche che la cancelliera Angela Merkel, chiaramente, è intenzionata a vincere. La sorte dell’eurozona dipenderà quindi dal massimo dei sacrifici che gli elettori greci saranno disposti ad accettare e dal massimo prezzo che, a giudizio della Merkel, gli elettori tedeschi saranno disposti a pagare. Questo dilemma è un grave esempio del problema più profondo che affligge l’eurozona esistente: la contraddizione tra politiche già europee e ancora nazionali. Si potrebbero avere economie vicine, similari, mantenendo politiche diverse (questa la nordzona che avrebbe potuto essere). O si potrebbero avere economie diverse in presenza di politiche convergenti. Queste politiche comuni consentirebbero ai trasferimenti finanziari di compensare le differenze, come negli Stati Uniti e agire in direzione della convergenza economica nel lungo periodo. Insostenibile è avere, in seno alla stessa zona valutaria, sia economie nazionali divergenti che politiche nazionali divergenti.
A quanto posso giudicare esistono solo due vie d’uscita. Una è che la Germania, tutti gli altri governi europei (incluso quello britannico), la Bce, le istituzioni Ue, l’Fmi e ogni altro importante attore si mettano all’opera freneticamente nelle prossime settimane, come Mozart al culmine dell’ispirazione, per fare ciò che è necessario a giudizio di qualsiasi economista politico dotato di buon senso (inclusi molti tedeschi), ossia elaborare una strategia ai fini della crescita a breve e medio termine, del consolidamento fiscale e della riforma strutturale. Perché come ha osservato Mohammed el-Erian, co-direttore della Pimco, l’accordo recentemente raggiunto “non risolve il problema fondamentale della Grecia. Il Paese continua ad affrontare la prospettiva di un debito eccessivo e di una crescita troppo scarsa”.
Non basta individuare questa strategia di crescita, bisogna renderla esplicita. Bisogna che i greci vedano che è stata individuata prima di andare alle urne. L’alternativa è che, presto o tardi, la Grecia lasci l’eurozona. La prima ipotesi è più auspicabile, la seconda più probabile.
www. timothygartonash. com
(Traduzione di Emilia Benghi)
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