by Editore | 6 Febbraio 2012 10:24
Questo è il quadro della democrazia italiana per quel che riguarda le rappresentanze. La questione morale non si è andata risolvendo: si è andata appesantendo, negli ultimi 20 anni».
A sorreggere la condivisione di questo giudizio vi sono talmente tanti episodi che la memoria non riesce a contenerli e li consegna all’oblio. Se consultiamo una qualsiasi cronologia, scegliendo a caso un mese degli ultimi dieci anni, constiamo con stupore scandali che abbiamo rimosso. Poco importa che sia successo per assuefazione, overdose, rassegnazione o altro, certo è che per quanto possiamo dimenticarci delle condotte deprecabili che coinvolgono la nostra politica, esse hanno lasciato un segno in noi. È quel segno, forse più della ragione, che ci porta a dire che la politica è una brutta cosa, animata quasi esclusivamente da chi — con maggiore o minore sfacciataggine — ha a cuore solo il proprio interesse personale, la propria ricchezza materiale da perseguire approfittando di benefici ingiusti, di privilegi immotivati, abusando del proprio potere.
Da esseri umani, ci viene facile vedere il male fuori di noi: il mondo degli eletti (e non quello degli elettori), lo schieramento avverso.
Così non ci interroghiamo su quanta parte di responsabilità abbia ciascuno di noi nel momento in cui contribuisce a una selezione che non fondata sul rigore morale e non è seguita dall’attenzione costante verso l’attività del selezionato e dalla «punizione» (elettorale: del candidato e del partito che lo ha proposto) in caso di tradimento della fiducia.
Al contrario: il più delle volte siamo sensibili esclusivamente alle ruberie degli esponenti dell’altra parte, magari solo per poter dire che essi hanno poco da fare i maestrini su temi etici. Pensiero, questo, che rafforza il convincimento dell’immutabilità : l’offerta politica è questa e non potrebbe che essere così, perché la politica è una brutta cosa.
E invece, che stridore al confronto tra la bieca compravendita dei parlamentari per un voto di fiducia e le storie di quegli amministratori locali, magari di piccoli paesi, che non solo sacrificano il proprio lavoro per servire i loro concittadini, ma pure si impegnano genuinamente e responsabilmente, al punto di non piegarsi a clan o potentati locali, divenendo bersagli di attentati, aggressioni, minacce: in tutta Italia.
Eppure la politica è proprio questo: mettere se stessi al servizio della collettività , senza altro fine che contribuire a migliorare le condizioni nelle quali vive il nostro prossimo.
Senza la ricerca di una soddisfazione diversa da quella condivisa con il più grande numero di persone, rivolgendo il proprio impegno non a se stessi, ad amici e parenti, ma a soggetti talmente indeterminati da appartenere anche a generazioni future. Così — ed è un così reale e possibile — essa è, prima che un impegno, una bellissima responsabilità e un onore alto che i limiti del nostro presente non snatureranno.
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