by Editore | 22 Febbraio 2012 9:54
Non tanto per il fatto che si tratti di una procedura a due stadi, quanto per la lunghezza del periodo – tre anni – che deve intercorrere obbligatoriamente perché dalla prima fase si possa passare alla seconda. Questo tempo di attesa venne a suo tempo motivato come necessaria pausa di riflessione: per dare tempo alle persone di riflettere sulla loro decisione prima che, con il divorzio, diventi irreversibile. Qualcuno dirà che sotto questa motivazione si celava il desiderio di compiacere la gerarchia cattolica, compensando l’eliminazione della indissolubilità del matrimonio con norme e requisiti che rendono il divorzio faticoso, costoso sul piano economico e psicologico. Ma quella motivazione appare problematica anche se presa su serio. Suggerisce, infatti, che i cittadini italiani, lasciati a se stessi, divorzierebbero con troppa facilità , senza pensarci troppo. Se li si costringe a pensarci a lungo, potrebbero tornare sui propri passi.
Oltre quarant’anni di applicazione della legge sul divorzio dimostrano che le cose non stanno così. Qualsiasi sia il motivo per cui ci si separa, non si torna mai indietro. Anche se non tutte le separazioni si trasformano in divorzi, pressoché nessuna viene ritrattata. La cosiddetta pausa di riflessione costringe invece ad un lungo limbo in cui non si è più di fatto coniugi, ma legalmente lo si è ancora, mantenendo aperto un contenzioso affettivo ed economico che invece dovrebbe essere aiutato a trovare una soluzione. È un limbo in cui sono costrette anche le eventuali nuove relazioni affettive iniziate dagli ex coniugi, ed i figli che da queste eventualmente nascono.
La proposta di legge in discussione è molto simile a quella bocciata nel 2003 da una alleanza tra i parlamentari cattolici del centrosinistra con i partititi di centro-destra. Riduce il tempo di attesa per le coppie separate senza figli o con figli maggiorenni. È un passo avanti nella concezione dei cittadini come soggetti capaci di decisioni ragionevoli e meditate. È sperabile che abbia migliore fortuna rispetto al 2003 e che il mutato clima politico suggerisca meno ipocrisia e più rispetto per la libertà dei cittadini. Ciò che mi lascia perplessa, ora come nel 2003, è l’idea che invece quando ci sono figli minori un tempo d’attesa lungo per la ridefinizione, non dei ruoli genitoriali, ma di quelli coniugali, sia un bene. In realtà , mentre tutti i consulenti familiari suggeriscono ai genitori separati di aspettare un po’ prima di imporre ai figli un nuovo compagno/a, concordano anche che l’incertezza nello statuto del rapporto tra i genitori, unito ai contenziosi che ne scaturiscono, rende più difficile ai figli l’elaborazione della separazione e la ridefinizione delle relazioni. Tempi di attesa troppo lunghi possono fare male soprattutto ai figli minori.
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/02/un-ritardo-che-fa-male/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.