TRA DEBITORI E CREDITORI È ORMAI GUERRA CIVILE
Il rischio, senza precedenti, è che crisi e disoccupazione aprano una stagione di «lunatici di sinistra e razzisti di destra», per usare l’espressione del Guardian. Ad Atene, dove si vota ad aprile, questo dicono i sondaggi. Ma la Grecia può far danni solo a se stessa, concedendosi l’effetto placebo di un default. Il voto in Francia, invece, può produrre sconquassi. Perché Parigi è da sempre la vera misura dell’integrazione europea: se l’Inghilterra può starne fuori, e la Germania è condannata a starci dentro, la Francia ha il potere di fermare la macchina. E Hollande ha detto che se vince la fermerà , per rinegoziare daccapo il Trattato fiscale appena varato per placare Berlino. Si capisce perché la Merkel, per la prima volta nella storia europea, stia partecipando attivamente alla campagna elettorale per l’Eliseo.
La vera sfida di questa tornata elettorale continentale non sarà infatti quella classica tra destra e sinistra. Le acque si confondono, nella tempesta dell’euro. In Grecia, per esempio, è dal leader della destra Saramas che si teme uno scarto anti-austerità simile a quello del socialista Hollande. D’altra parte è improbabile che la socialdemocrazia tedesca rinunci al rigore teutonico per ragioni di solidarietà internazionalista. Anche nelle urne si combatterà invece una guerra civile tra creditori e debitori, alla quale l’Unione potrebbe non sopravvivere. L’idea geniale della Ue — scriveva nel 2002 Robert Cooper — era quella di risolvere i conflitti, invece che sui campi di battaglia, in una birreria di Bruxelles davanti a un piatto di salsicce; ma ora è proprio per le salsicce che ci si fa la guerra.
Da che parte stare? Al momento, in Italia, sugli spalti prevalgono i tifosi dei debitori. Ovunque si invoca pietà per i greci, o si aizza alla resistenza i greci, pretendendo «politiche espansive», «iniezioni di credito», «interventi illimitati». Ovunque si oppone al grigio monetarismo tedesco il dinamico keynesismo obamiano. E in effetti anche negli Stati Uniti si è svolta una guerra tra debitori e creditori, con il Tea Party nel ruolo di tifoso dei creditori e Occupy Wall Street a tifare per i debitori, guerra che ha prodotto altro debito. Però mentre lì i soldi si chiamano dollari e passano comunque di mano tra americani, qui le risorse «illimitate» che dovrebbero salvare i debitori di ogni nazionalità sono sempre e solo dei tedeschi.
Dove si potrebbero infatti trovare, in Europa, i soldi pubblici per politiche espansive da finanziare in deficit, se non stampando moneta? Attività che non è mai gratis, perché qualcuno alla fine paga: il creditore, che vede svalutato il suo credito. Ed è curioso che questa invocazione a «rimettere i debiti» venga con più forza proprio da coloro che propugnano una visione morale, o moralistica, dell’economia: dopo aver fustigato senza pietà le bolle finanziarie private come la causa della crisi, ora vogliono condonare la ben più gigantesca bolla finanziaria degli Stati, cominciata quarant’anni fa, proprio quando la fine dell’ancoraggio al dollaro diede ai governi l’abusato potere di stampare moneta a volontà (Promesse di carta, come nel titolo di un bel libro di Philip Coggan).
C’è da chiedersi se sia davvero questo il modo migliore di salvare la democrazia europea. Perché ha ragione chi s’indigna di fronte all’idea di chiedere ai greci di rinviare le elezioni (idea «immorale» per Wolfgang Munchau), o di fronte all’obbligo imposto a tutti i leader politici di Atene di impegnarsi ad eseguire alla lettera il piano di austerità comunque vadano le elezioni, il che le rende abbastanza pleonastiche. Ed è ragionevole temere che se non si mette presto fine a questa crisi possano radicarsi nei Paesi debitori movimenti nazionalisti e xenofobi in grado di far esplodere l’Unione. Ma bisogna poi anche chiedersi che cosa accadrebbe se questo succedesse in Germania, l’unico Paese grazie a Dio finora esente? La democrazia europea sarebbe forse meno a repentaglio se nel cuore del continente si diffondesse la convinzione che l’Europa è una trappola per far pagare ai tedeschi i debiti degli altri?
Il dilemma è serio. Se vincono i creditori, rischiamo di avere una lunga stagnazione; se vincono i debitori, una massiccia inflazione. Forse non riusciremo ad evitare né l’una né l’altra. Ma non si vede perché il populismo dei debitori debba essere più raccomandabile del populismo dei creditori.
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