by Editore | 8 Febbraio 2012 8:02
ROMA – Asse Camusso-Marcegaglia. Il negoziato sul mercato del lavoro si prepara a una svolta. Sindacati e Confindustria potrebbero presentarsi al prossimo appuntamento a Palazzo Chigi con un “contributo” condiviso su diversi temi. Non proprio un documento, che la Cgil non vuole perché ritiene che complicherebbe di fatto il confronto con l’Esecutivo, ma una proposta a maglie larghe che contenga i punti di contatto tra le parti, dalla riforma degli ammortizzatori sociali alla riduzione delle tipologie dei contratti atipici soprattutto per impedirne gli abusi. Ne hanno parlato ieri al telefono la leader della Cgil, Susanna Camusso, e la presidente degli industriali, Emma Marcegalia, in vista dell’incontro di questa sera tra gli stessi soggetti sociali. Va da sé che nel possibile “contributo” non ci sarà traccia di modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Questo rimane un argomento off limits per la confederazione “rossa”.
La Cgil, comunque, intende andare fino in fondo alla trattativa. Non si sfileranno Camusso e i suoi, non si alzeranno dal tavolo. Anche se il dilemma all’interno del palazzone di Corso d’Italia è forte. Perché in gioco, questa volta, potrebbe esserci proprio il profilo del sindacato. Emblematico il titolo di ieri di un commento sull’articolo 18 pubblicato sul Wall Street Journal: “Rome vs. the Unions”, Roma contro i sindacati, che riflette il mood della comunità finanziaria internazionale incerta se tornare a investire o meno nel nostro Paese. Questa volta – sembra ormai chiaro – il governo dei tecnici guidato da Mario Monti non si fermerà davanti ai veti dei sindacati. Si è già visto nelle vicenda delle pensioni, con l’abolizione delle pensioni di anzianità e l’allungamento dell’età pensionabile che hanno colpito proprio la “massa critica” degli oltre dodici milioni di iscritti a Cgil, Cisl e Uil, cioè i lavoratori più anziani, più tutelati dall’attuale modello di welfare state. Lo hanno capito perfettamente la Cisl di Raffaele Bonanni e la Uil di Luigi Angeletti. Per questo hanno fatto la loro mossa: escludere dalla tutela del reintegro nel posto di lavoro (quella prevista dall’articolo 18) i licenziamenti individuali per motivi economici. E sostituire (questo lo propone solo la Cisl) il reintegro con la corresponsione di due anni di indennità di mobilità . Soluzione costosa per le imprese, ma un passo avanti significativo. Anche se – va ricordato – Cisl e Uil già nel 2002 con il patto per l’Italia firmato con Berlusconi avevano accettato di sospendere in via sperimentale l’applicazione dell’articolo 18 nelle aziende che fossero cresciute di dimensione attraverso nuove assunzioni.
Il dilemma, dunque, è dentro la Cgil, tra chi pensa che si debba “ingoiare il rospo” e chi pensa che si debba far saltare tutto. Sapendo che, in questo secondo caso, il Pd si spaccherebbe nei tanti rivoli delle sue componenti. Solo l’accordo può “salvare” Cgil e anche il Pd. «Accetteremo qualunque accordo nato al tavolo del governo con le parti sociali», ha detto ieri a Repubblica il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. E la Camusso, davanti alle telecamere di Matrix: «L’obiettivo è provare a fare un’intesa». Questa è l’impostazione della Cgil trattativista, di cui fanno parte le categorie dell’industria (dai chimici ai tessili, dagli edili agli agroalimentari) e dei servizi (commercio, banche), ma non della Fiom di Maurizio Landini o della Flc, la federazione dei lavoratori della conoscenza (scuola, università , ricerca), convinti che da questa partita il sindacato, se dovesse accettare lo spartito scritto dalla Banca centrale europea, ne uscirebbe molto più debole. Restano defilati, per ora, i dirigenti della Funzione pubblica, il sindacato degli statali, il primo per iscritti nella Cgil. Ma intanto leggono e rileggono un passo della ormai famosa lettera della Bce al governo italiano in cui ci sono scritte le cose da fare: «Il governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole del turnover e, se necessario, riducendo gli stipendi». I prossimi saranno loro.
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