STORIA DELLA CATTIVA AMMINISTRAZIONE

Loading

Sembra incredibile che negli ultimi due anni si sia riusciti a pensare all’Italia delle origini senza più quell’atteggiamento indifferente e colpevolizzante, con il quale molti italiani, soprattutto dopo la nascita dello Stato democratico e repubblicano, hanno guardato a quel periodo della nostra storia che ricorda la lunga lotta per l’unità  nazionale. Una, forse inattesa, partecipazione popolare, una attenzione quasi meravigliata come se si trattasse di una scoperta, ha contrassegnato infatti il ricordo dei 150 anni, con la riappropriazione, in particolare anche attraverso la scuola, di eventi, protagonisti, luoghi, parole poetiche e linguaggi d’arte che parevano definitivamente inattuali e lasciati al silenzio ironico e all’antiquariato polemico (soprattutto da parte della sinistra politica) inaugurati agli inizi del Novecento dal gobettiano Risorgimento senza eroi. 
Hanno avuto, tra il 2010 e il 2011, una certa eco libri e articoli che prendono le distanze e opuscoli che rimpiangono il brigantaggio, inventano un ricco e produttivo Sud borbonico, esaltano la Sicilia prima dell’arrivo di Garibaldi (senza sapere che proprio dalla Sicilia sono partiti i primi moti risorgimentali e unitari), lo Stato della Chiesa temporale e reazionaria di Pio IX, i ducati e granducati illiberali, e riprendono il tema dell’Italia divisa in due, del federalismo che non c’è stato, eccetera; ma, alla fine, il senso di una stabile unità  nazionale, di una repubblica, come dice la nostra Costituzione, “una e indivisibile”, nata dal Risorgimento, è stato percepito, conosciuto nel suo svolgimento reale, condiviso. Sono rimasti validi, naturalmente, interrogativi sulla costruzione dello Stato unitario e su problemi irrisolti dei primi cinquanta anni dall’unità , aggravati nei quaranta anni successivi da guerre, dittatura, dopoguerra. Ma con alle spalle sessanta anni di vita repubblicana e di istituzioni democratiche possiamo ora riflettere con più calma su tali interrogativi, anche su quelli che riguardano aspetti costituzionali dell’Italia liberale, sulla ricaduta giuridica e civile di quell’Italia sull’Italia contemporanea, e così via. L’hanno fatto di recente autorevoli studiosi di diritto e, in modo più abbreviato, qualche storico. Tra le più interessanti le tesi, ferme e esplicite, di Sabino Cassese nel saggio L’Italia: una società  senza Stato? (Il Mulino). 
Qui Cassese riprende argomenti di sue precedenti ricerche, quali un saggio del 1998, dal titolo altrettanto accattivante: Lo Stato introvabile. Modernità  e arretratezza delle istituzioni italiane. Sono problemi che venivano riassunti nella definizione dello Stato italiano come “una anomalia, perché è rimasto a metà  del passaggio verso la modernizzazione delle sue istituzioni” e nel giudizio che proprio alla “supremazia dello Stato” affermatasi dopo il 1861 ha fatto da pendant la sua debolezza, col risultato di una separazione di fatto dalla società , cioè l’isolamento. 
Nel suo ultimo saggio il giudizio è ribadito con l’affievolimento, nel titolo, del punto interrogativo. Ma la tesi di fondo rimane quando Cassese scrive che “i primi governi unitari si preoccuparono meno dello State building e più della creazione di un mercato, meno dello costruzione di organi e regole amministrative più dell’unificazione economica”. Qui non sono in campo le critiche di Gobetti o di Gramsci – che hanno avallato la posizione sempre distaccata della sinistra italiana nei confronti del Risorgimento “incompiuto”, alterando l’analisi oggettiva del suo concludersi nella nascita di uno Stato unitario simili ai grandi Stati liberali e parlamentari d’Europa) – né mi pare si sottovaluti il contributo di eminenti uomini della Destra liberale come Spaventa, Sella, Minghetti e di quanti si mossero, a mio parere, sulla linea dello State building indicato da Cassese. Viene invece toccato un punto dolente e rilevante che merita di essere storicamente approfondito, perché è fuor di dubbio che almeno il sistema amministrativo dell’Italia unita (Cassese è uno dei maggiori studiosi di diritto amministrativo) ha risentito dell’affrettato compromesso tra i sistemi in vigore nei sette Stati pre-unitari. E agli uomini della Destra, tra i quali Antonio Scialoja, la cosa era chiara fin dal 1865, sennonché, nota Cassese, l’insufficienza di un sistema amministrativo moderno ha provocato nel corso di centocinquanta anni nei cittadini “una sfiducia in una amministrazione inetta e in una giustizia arbitraria. E l’assenza di fiducia in una autorità  credibile mina anche la fiducia tra soggetti eguali”. In sostanza, “la cattiva fiducia produce diseguaglianze…” e questo, soprattutto in un sistema democratico, è all’origine di “una società  senza Stato”. Cioè, da un lato uno Stato paterno, un legislatore onnipotente, dall’altro “un posto secondario riservato ai cittadini, governi transeunti, uno Stato catturato dall’economia, una amministrazione ‘porosa’, la molteplicità  dei centri”.


Related Articles

QUEL DOS PASSOS SOVVERSIVO CENSURATO DAL FASCISMO

Loading

Viene pubblicata per la prima volta in Italia la versione originale di “Manhattan Transfer” Dal romanzo che rivoluzionò le tecniche narrative del ‘900 furono tagliate alcune scene che vedevano protagonista un gruppo di anarchici 

Altri partiti e un’altra Rete Idee per la Democrazia 3.0

Loading

La partecipazione digitale oltre i rischi plebiscitari

Generazioni in conflitto

Loading

Dalla Francia, precariato e crisi con Michel, fuori dal mercato del lavoro e senza più sogni. E dalla Corea, il gesto d’amore per il cinema in un diario intimo

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment