Somalia: dove la libertà  di stampa costa la vita

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L’ultimo di questa lista è Hassan Osman Abdi detto “il Fantastico” per le sue eccezionali qualità  umane. Il giovane direttore di Shabelle Media Network è stato ucciso il 28 gennaio scorso da un commando armato davanti alla porta di casa. Aveva 28 anni.

Non è ancora chiaro chi abbia compiuto l’omicidio né quali siano i motivi, ma visto i precedenti assassini è facile intuire che in un contesto come quello somalo, che ormai da vent’anni consuma la società  civile in una spietata guerra senza fine, quella del giornalista indipendente alla ricerca della verità  e del rispetto dei diritti umani sia unafigura scomoda. “Hassan – ha spiegato Ali Dahir, collega di Hassan a Radio Shabelle –non perdeva mai l’occasione di denunciare, sia la corruzione e l’inadeguatezza delle autorità  somale, sia la brutalità  delle milizie filo-qaediste di Al Shabab. Radio Shabelle è stata l’unica emittente che è riuscita a resistere alle offensive e alle minacce dei gruppi islamisti. Per continuare a trasmettere, la radio ha dovuto trasferire la propria sede dal centro della capitale, dove rischiava di essere usata come megafono dalle milizie, alla zona dell’aeroporto”.

In questo contesto “I nostri giornalisti dormono in redazione per paura di uscire, tali sono le minacce di morte che riceviamo” solo perché “offriamo un servizio indipendente alla società , è questo ciò che facciamo […]. Tutti i giorni ci chiediamo se saremo i prossimi a morire, ma quello che facciamo per la nostra gente è importante e vale la nostra vita”, spiegava Hassan Osman Abdi appena due mesi fa in un video alla rivista Colors, che nel numero speciale “Colors With Love” ha pubblicato un reportage sulla radio.

Anche per questo, la maggior parte del suo tempo, Hassan Osman Abdi lo passavatrincerato dentro la redazione di Radio Shabelle prestando fede alla sua missione di fornire al popolo somalo un’informazione libera e indipendente. Un obiettivo raggiunto con successo (tanto che esattamente un anno fa, sotto la direzione di Hassan Osman Abdi, l’emittente ha vinto il premio di Reporter Senza Frontiere per la libertà  di informazione), ma al prezzo della vita non solo di Adbi. Questa coraggiosa redazione conta dalla sua nascita nel 2002 sette reporter assassinati, di cui tre direttori: prima di Hassan è toccato a Bashir Nur Gedi nel 2007 e Mukhtar Mohamed Hirabe nel 2009.

“Abdi è il primo giornalista ad essere ucciso nel 2012 in Somalia, paese dell’Africa mortale per il personale dei media, soprattutto Mogadiscio tra i 10 posti più pericolosi al mondo”, ha dichiarato Reporter Senza Frontiere. “I nostri pensieri vanno alla sua famiglia [Hassan lascia una moglie e tre fogli] e ai giornalisti di Radio Shabelle, che ancora una volta piangono la morte di un collega che, come è abbastanza chiaro, è stato deliberatamente preso di mira”.

Ora, ciò che preoccupa la squadra di Radio Shabelle e le organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International e Reporter Senza Frontiere, che per prime sono intervenute per portare il caso all’attenzione dei media internazionali, è che il crimineresti impunito. Troppo spesso in passato, infatti, delitti simili sono rimasti senza colpevoli e nessun processo è stato mai aperto per gli assassini degli altri giornalisti somali. Così anche se il Governo federale di transizione ha promesso di condurre indagini approfondite per arrivare ad individuare i colpevoli, i colleghi di Hassan non ci credono: “Non mi fido delle promesse del governo – ha dichiarato Ali Dahir – Hassan era una persona scomoda, e non credo che sapremo mai chi l’ha assassinato”. L’emittente negli ultimi mesi aveva condotto alcune inchieste sulle autorità  somale, accusate di essere corrotte ed “il Fantastico” aveva criticato l’inadeguatezza della classe politica somala incapace di risolvere la cronica crisi che attanaglia il Paese anche perché troppo impegnata a lucrare sugli aiuti internazionali.

Per Erwin van der Borght, direttore di Amnesty International per l’Africa “I numerosi attacchi contro i giornalisti in Somalia sono parte di un tentativo bi-partisan di far tacere i reportage sulle violazioni dei diritti umani di tutte le parti in conflittonel paese. […] È tempo che la comunità  internazionale adotti misure concrete per affrontare l’impunità  per le uccisioni di giornalisti e per le molte altre violazioni dei diritti umani. Chiunque ritenuto responsabile per aver commesso o di ordinare le uccisioni devono essere portati davanti alla giustizia, in processi equi e senza l’applicazione della pena di morte” ha concluso der Borght.

Contro il rischio dell’impunità  si è espressa anche l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri, Catherine Ashton e il Direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova, che ha condannato l’uccisione del giornalista somalo e ha chiesto alle Nazioni Unite e al Governo somalo misure per migliorare la sicurezza dei lavoratori dei media nel paese. “L’assassinio di Hassan Osman Abdi è un duro colpo per un paese in cui i media hanno pagato un prezzo pesante per l’esercizio del diritto umano alla libertà  di espressione – ha puntualizzato la Bokova -. La morte dei giornalisti mina il diritto delle persone ad essere informati. La riconciliazione della Somalia e la ricostruzione non avverrà  senza assicurare il rispetto di questi due diritti. Per questo invito le autorità  a prendere misure urgenti per migliorare la sicurezza dei giornalisti e indagare sull’omicidio del signor Hasan Abdi Osman”.

Nonostante i molti autorevoli auspici il futuro (non solo del mondo dell’informazione) in questa parte del Corno d’Africa appare incerto. Una grande conferenza internazionale sulla Somalia si terrà  a Londra il 23 febbraio con l’obiettivo di fornire un nuovo approccio internazionale al paese. “La comunità  internazionale deve cogliere l’occasione per istituire un meccanismo indipendente e internazionale per documentare e indagare su violazioni dei diritti umani e gli abusi in Somalia”, ha suggerito Amnesty. Ciò dovrebbe includere, speriamo, le minacce e gli attacchi mirati contro i giornalisti di tutte le parti in conflitto visto che oggi la Somalia è classificata al 164 posto, su 179 paesi, nell’indice annuale per la libertà  di stampa di Reporter Senza Frontiere.


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