by Editore | 6 Febbraio 2012 10:16
Uno dei più prestigiosi fra questi organismi è l’American Council on Foreign Relations, sulla cui scia, per iniziativa di un suo consigliere d’amministrazione, il finanziere ungaro-americano George Soros, è sorto a Londra l’European Council on Foreign Relations, con sedi anche a Roma, Parigi, Madrid, Berlino, Sofia e Varsavia. Annualmente il Council presenta un rapporto di valutazione (“Scorecard”) sulle performance in politica estera dell’Ue e dei 27 Stati membri. “Anno zero” di questa iniziativa è stato il 2010 in rapporto al nuovo quadro in materia derivante dal Trattato di Lisbona (nomina dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’UE e creazione del Servizio di azione esterna, una specie di ministero degli Esteri di Bruxelles), misurando le prestazioni dei 27 Stati e delle Istituzioni europee. Lo studio e il punteggio attengono a 80 settori articolati attorno a sei temi chiave: le relazioni con gli Usa, la Cina e la Russia, Medio Oriente e Nord Africa, i risultati e le prospettive dell’allargamento dell’Ue, le prestazioni nella gestione delle crisi e nelle questioni multilaterali.
Lo “Scorecard” 2011 verrà presentato il 14 febbraio nella sede dell’Ambasciata di Polonia a Roma. Il giudizio è nell’assieme negativo. «Mentre i 27 leader europei discutono le misure da adottare contro la crisi, il malessere dell’Europa è ormai pienamente visibile, anche nella sua proiezione internazionale. L’Europa perde peso nel mondo, non è più protagonista nella risoluzione dei conflitti ed è addirittura percepita come un problema».
Quest’anno il Rapporto valuta, in base a un punteggio su 80 temi, “chi guida e chi blocca”. Ad esempio la Germania che in politica estera ha spesso seguito Francia e Gran Bretagna, risulta ora “guida” in numerose aree di azione, pur essendo anche annoverata tra chi “blocca” in relazione a molti temi inclusa la Libia, confermando la tendenza tedesca a perseguire esclusivamente i propri interessi nazionali. Sono emersi anche nuovi leader in politica estera – la Svezia è “guida” in 11 aree e la Polonia è “guida” in 8 e si conferma un paese leader nel processo di integrazione europea. L’Italia si attesta su una posizione di “mezza classifica”: tra chi “guida” in 7 settori e chi “blocca” in 6. Nel 2011 ha dimostrato in più circostanze la preferenza per una visione europea, integrata nel contesto multilaterale. Nelle relazioni con gli Usa ha svolto un ruolo importante durante l’operazione militare in Libia, nonostante la tardiva presa di posizione relativa al regime di Gheddafi. Nel sostenere la politica europea nei confronti della Corte Penale Internazionale e dei tribunali ad hoc, l’Italia ha contribuito a far sì che lo status e l’azione delle corti internazionali rimanessero tema fondamentale dell’agenda europea. Per contro l’Italia ha “bloccato” l’Europa nei confronti della Russia fallendo nella promozione dello stato di diritto nel Caucaso, evitando di porre al centro dei rapporti con la Russia questioni che toccano la politica interna di quest’ultima; idem per quanto riguarda la scarsa attenzione alla violazione dei diritti umani in particolare in Bielorussia e Ucraina. È infine fanalino di coda per le politiche di aiuto allo sviluppo e la salute globale. Rose e fiori in rapporto allo sferzante giudizio che viene riservato al Servizio relazioni esterne e all’Alto commissario per la politica estera, l’inglese baronessa Ashton, incapace di fornire linee di direzione strategica all’Europa, priva di leadership e di potere d’iniziativa. Una bella differenza col predecessore, lo spagnolo Javier Sovana. Va ricordato, però, che questa designazione al ribasso fu espressamente voluta dal Consiglio dei ministri europeo, dopo aver silurato la candidatura D’Alema.
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