Se il Giudice Ordina la Cura Di Bella e Mancano i Soldi per Terapie efficaci
E aveva dato il la a un dibattito sul diritto alle cure (anche non «certificate» dalla ricerca scientifica) e alla loro rimborsabilità da parte del Servizio sanitario nazionale (Ssn). In questi giorni un altro giudice di Bari, Maria Procoli, ha riaperto la questione, su ricorso di un malato di tumore, e ha ordinato all’Asl di fornire i farmaci al paziente gratuitamente, cioè a carico del Ssn.
Si pongono adesso due problemi, uno vecchio e uno nuovo. Quello vecchio è: i giudici possono trasformarsi in medici e prescrivere una terapia? Il buon senso e le regole della medicina scientifica dicono di no. Oggi si somministra una terapia quando gli studi scientifici dicono che può avere un effetto benefico, per esempio, in termini di aumento della sopravvivenza. Queste prove non sembrano esistere per la cura Di Bella.
L’altro problema, nuovo, è quello delle risorse economiche. Oggi le terapie anticancro sono sempre più costose. I nuovi farmaci «personalizzati», capaci cioè di aggredire particolari tumori a seconda della loro carta di identità genetica, hanno costi esorbitanti. E i sistemi sanitari dei Paesi occidentali stanno facendo due più due. Oggi, tanto per fare un esempio, un farmaco anti-melanoma, efficace nell’aumentare la vita dei pazienti, secondo la letteratura scientifica, rischia di non essere disponibile perché costa troppo.
E allora. Dobbiamo sacrificare questo tipo di farmaci a favore di una terapia Di Bella che non ha conferme scientifiche? Dove dobbiamo «allocare» (brutto termine tecnico) le risorse?
Certo, l’ideale sarebbe dare tutto a tutti (anche quando l’effetto è placebo, cioè determinato dalla suggestione, perché il benessere di una persona può dipendere anche da cure alternative). Ma oggi come oggi i sistemi sanitari devono basarsi su criteri oggettivi per la dispensabilità delle cure e per la rimborsabilità . Perché non si può più dare tutto a tutti.
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