Sciopero generale della Fiom

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Difficile dire cosa uscirà  dall’incontro di oggi a palazzo Chigi tra il governo e le parti sociali (associazioni imprenditoriali e sindacati confederali). Da cui peraltro sarà  assente il premier, Mario Monti, impegnato a Bruxelles. Le dichiarazioni della vigilia -a volerle prendere tutte per sincere – disegnano un quadro molto slabbrato. Ma in politica, e mai come di questi tempi, nulla è veramente come appare. O meglio. Dal lato del governo, pur in assenza fin qui di documenti scritti sottoposti agli interlocutori, l’agenda sembra molto chiara: cancellazione o «forte confinamento» dell’art. 18, riforma in peggio degli ammortizzatori sociali (abolendo la mobilità  e forse anche cassa integrazione in deroga) senza peraltro istituire un’«indennità  di disoccupazione» di tipo europeo, per cui mancano le risorse. Gli altri punti riguardano la trasformazione del contratto di apprendistato (proposto dai sindacati) in un «contratto unico di ingresso», privo delle tutele tipiche del lavoro a tempo indeterminato (l’art. 18, in primis). Risposte negative anche per il problema dei lavoratori «esodati» – messi fuori dalle azienda in seguito ad accordi che facevano affidamento su un’età  pensionabile più bassa – e che ora si ritrovano senza lavoro e senza pensione. Incertezza infine sulla possibilità  di sfoltire al massimo la giungla dei 46 contratti «atipici»; un obiettivo adombrato dal ministro Elsa Fornero nei discorsi pubblici, ma che non sarebbe stato menzionato in modo chiaro nel corso dei precedenti incontri. Sembra essere qui uno dei terreni per un possibile «scambio» accettabile anche da tutti e tre i sindacati; anche se Susanna Camusso – segretario generale della Cgil – dice in privato non averne ancora intravisto la sostanza. Dal lato imprenditoriale, i pochi che parlano lo fanno solo per spronare il governo ad andare più in fretta. Quella riforma lì realizza molti dei loro desideri a lungo repressi.

La trincea sindacale, al contrario, appare decisamente sfalsata e molto poco trincea. Cisl e Uil, al solito, danno ampia disponibilità  a raggiungere dei compromessi «senza paletti», in cui tutto può essere scambiato o sacrificato: «Per un accordo con il governo – giura Raffaele Bonanni – ci sono ampi margini, perché l’altra volta il ministro Fornero ha segnato un avvicinamento molto forte alle posizioni delle parti sociali». Quelle di Confindustria, probabilmente, se le parola hanno un senso.
In casa Cgil, invece, il problema è vissuto molto più drammaticamente. Camusso fin qui ha seguito una strategia autoparalizzante: restare al tavolo di trattativa a tutti i costi e mantenere «l’unità  sindacale» ritrovata con il (molto) discusso accordo del 28 giugno. Ma deve anche fare i conti con dissensi interni sempre più forti e con la pressione esterna del Pd, che mal sopporterebbe lo «strappo» di una Cgil che torna in piazza. Eventualità  che lo costringerebbe all’ennesima spaccatura tra chi ha ormai assunto il governo Monti come «il proprio» e chi – non moltissimi – sentono ancora un legame col mondo del lavoro.
La Fiom, infine, ieri ha proclamato lo sciopero generale dei metalmeccanici per il 9 di marzo. Il Comitato centrale ha infatti approvato la proposta del segretario generale, Maurizio Landini, al termine di una discussione – come sempre – «molto franca» e articolata. Annullata dunque la manifestazione prevista per questo sabato e «raddoppiata» l’iniziativa di mobilitazione con l’astensione dal lavoro. Con in piattaforma anche l’opposizione «senza se e senza ma» alle ipotesi di «manutenzione» dell’art. 18. Cosa che tutti gli altri protagonisti ammettono essere un tema in discussione («visto che il governo intende comunque intervenire sulla materia – ha detto Bonanni – bisogna trovare una soluzione»). Soltanto Camusso continua a ripetere che è «insopportabile che tutta la discussione debba essere su questo, che non è al centro del confronto». Lo sciopero proclamato dalla Fiom è quindi approvato dalla segreteria confederale Cgil approva; potrebbe forse diventare utile nel caso fosse costretta a decidere una scadenza più generale. Ma che può diventare anche un problema, se al tavolo si dovessero trovare «convergenze» al momento difficili da identificare.
La dura reazione della Cgil alle voci di un incontro della stessa Camusso con il premier Monti (con tanto di accordo «a perdere») è stata accompagnata dal sospetto che – dentro il governo o fuori di esso – ci siano forze intenzionate a «far fuori» dal tavolo il più grande sindacato italiano, affidando poi alla «stampa amica» il compito di dipingerlo come il «solito ‘signor no’».
L’ultimo tentativo di trovare una «posizione unitaria» con gli altri sindacati e con gli imprenditori è stato fatto ieri pomeriggio in due incontri successivi. Sui quali nessuno ovviamente ha voluto aprire bocca. Ma la sensazione è che da oggi la direzione di marcia sarà  decisamente più lineare. Con o senza la Cgil.


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