Roma, malati curati per terra i pronto soccorso sotto inchiesta

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ROMA – Solo posti in piedi nei Pronti soccorsi romani presi d’assalto. Anche le sedie e le poltrone sono occupate da malati che aspettano. Le barelle sono esaurite. Tutte. Comprese quelle delle ambulanze sulle quali sono arrivati i pazienti. E, con la dotazione di bordo “sequestrata” dai malati, i mezzi del 118 sono costretti a soste anche di 18 ore davanti agli ospedali (il fermo-ambulanze nel 2011 ha superato le 200mila ore che, tradotte in euro, fanno 5 milioni di produttività  sprecata con gli equipaggi fermi). Di letti neanche l’ombra prima di un’attesa, fino a sei giorni, nei corridoi della prima linea. E la Procura ha aperto un’inchiesta, complici le fotografie scattate nel Pronto soccorso del San Camillo a due pazienti (una in arresto cardiaco, un altro con un sospetto infarto) sottoposti in condizioni estreme – su un materasso in terra – alle prime cure salvavita. «Di fronte a una vita a rischio e senza letti né barelle disponibili – spiega il direttore dell’ospedale, Aldo Morrone – un materasso è meglio che niente: è stato fatto quanto si doveva in una situazione di collasso».

A trasformare i reparti dell’Emergenza in un imbuto semichiuso è stato il taglio di 10mila posti letto in poco più di un decennio. Così mentre la popolazione del Lazio è cresciuta (invecchiando) da 5 milioni e 100mila abitanti nel 2000 a 5milioni e 750mila di oggi, le strozzature degli ospedali hanno amplificato i disagi. «Ogni giorno – spiega Massimo Magnanti del Sindacato professionisti dell’Emergenza (Spes) – in più di 300 stazionano sulle barelle aspettando che si liberi un letto in reparto, quale che sia». Perciò anche le Chirurgie si trasformano in divisioni di degenza medica con il blocco conseguente delle sale operatorie. Una telefonata a casa dei pazienti in attesa di essere operati e si cancellano gli interventi programmati. Accade dal San Giovanni al Pertini, dal policlinico Tor Vergata al Sant’Andrea; nei quadranti dove il rapporto tra letti e popolazione è di 6,6 ogni mille abitanti (aree a nord) a quelli dove ci sono 2,2 letti per mille residenti (sud est).
E con il taglio dei posti ospedalieri, complici il debito (10 miliardi) e il deficit (sul miliardo quello del 2011), la sanità  laziale (commissariata dal governo con la governatrice Renata Polverini) non ha realizzato, come promesso, i poliambulatori di quartiere, le residenze assistite per gli anziani (Rsa), i centri di lungodegenza. Così, le corsie pubbliche si riempiono di malati cronici (il 20% delle degenze) che potrebbero essere assistiti fuori dall’ospedale dove un giorno di degenza costa dieci volte di più (mille e 200 euro) che in una Rsa. Il cui fabbisogno è stimato dalla Regione in 7mila posti letto. La promessa di attivarne almeno tremila è vecchia di un anno. Ma niente è stato fatto.


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