Reazioni furiose al veto Onu

by Editore | 7 Febbraio 2012 11:05

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Reazioni furibonde al veto messo sabato scorsa da Russia e Cina alla risoluzione presentata «dal Marocco» (in realtà  dall’occidente) sulla Siria. Il veto ha bloccato il «piano» della Lega Araba e del Qatar (in realtà , ancora, dell’occidente) che imponeva al presidenten Bashar al-Assad di rinunciare entro 15 giorni a favore del suo vice per mettere in piedi un governo di unità  nazionale per traghettare il paese verso «la democrazia». Russia e Cina hanno letto in questo «piano», anche dopo i correttivi apportati nella speranza di bypassare il vetto di Mosca e Pechino, un fin troppo evidente intento di imporre un nuovo «regime change» come fu già  per l’operazione «umanitaria» avviata dall’Onu per la Libia di Gheddafi.
Le reazioni dei paesi occidentali al veto russo-cinese erano attese e piuttosto scontate. Tutti in fila indiana: Stati uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia… poi Turchia che occidentale non è ma è attiva sul teatro medio-orientale e nord-africano.
La Russia, che deve uscire dall’angolo in cui il veto l’ha cacciata, manderà  oggi il ministro degli esteri Sergei Lavrov a Damasco, latore di un messaggio del presidente Dmitri Medvedev al presidente Bashar al Assad, il cui testo «non sarà  reso pubblico» ma la cui sostanza è chiarissima: la richiesta di immediate «riforme democratiche».
Ma le «riforme democratiche», ammesso che Assad e l’establishment le volessero, forse non bastano più. Ormai, anche se per il momento di traverso, il discorso verte su una qualche forma di intervento esterno. Tutti negano di volerlo, ma di quello si tratta. «Esclude» un intervento militare in Siria la Turchia; dice che è molto importante che la crisi della Siria sia risolta «senza un’intervento militare esterno» (e piuttosto con sempre nuove sanzioni) il presidente Obama in una intervista alla Nbc; dei prossimi passi parleranno i ministri degli esteri delle petro-monarchie del Golfo convocate per domenica a Riyadh. Per il momento la Ue, per bocca della fantasmatica responsabile esteri, l’inglese Catherine Ashton (chi?), ha detto che l’Unione sta lavorando a un nuovo round di sanzioni. 
Gli Stati uniti pensano di dare un altro giro di vite annunciando, ieri, la chiusura dell’ambasciata a Damasco e la partenza di tutto il personale diplomatico, l’ambasciatore Robert Ford in testa. «Ragioni di sicurezza», anche se Ford continuerà  a «lavorare» da Washington «per la Siria e il popolo siriano». Anche il ministro degli esteri italiano Giulio Terzi (chi?) deve dare un segnale e così risponde che l’Italia sta lavorando «in concertazione» con i partner della Ue per valutare la richiesta venuta dalla premio Nobel per la pace, la yemenita Tawakkol Karman, di espellere l’ambasciatore siriano da Roma e congelare i beni di Assad.
L’Unione degli intellettuali arabi chiede il boicottaggio economico e culturale dei prodotti materiali e immateriali russi e cinesi come risposta al veto. Padre Paolo Dall’Oglio, gesuita fondatore della comunità  monastica siro-cattolica di Deir Mar Musa, fa una proposta più intrigante anche se meno realistica: che di fronte alla situazione «sempre più tragica» il Vaticano «prenda un’iniziativa immediata» e mandi in loco «una missione esplorativa al massimo livello».
Le razioni al veto sono variegate e aspre. Ma dopo la Libia ci si poteva aspettare qualcosa d’altro? Come scrivevano ieri il China Daily e il Quotidiano del popolo, la posizione cinese (e russa) non poteva che essere quella del veto dopo che le campagne occidentali in Libia, Afghanistan e Iraq hanno mostrato gli errori insiti nei cambiamenti forzati dei regimi.
Dalla Siria come sempre notizie contraddittorie. Ieri fonti dell’opposizione parlavano di nuovi bombardamenti governativi sulla città  ribelle di Homs (con 50 morti). L’agenzia ufficiale Sana smentiva replicando che era in corso una offensiva contro «bande di terroristi armati». I diesertori riuniti nell’«Esercito libero siriano» hanno annunciato la formazione di un «alto consiglio militare» guidato dal generale Mustafa Ahmed al Sheikh, per «liberare» la Siria.

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