Quel gioco di squadra tra premier e ministri “I mercati chiedono di accelerare sull’articolo 18”

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ROMA – I mercati ora vogliono lo scalpo dell’articolo 18. Si spiega così l’accelerazione del governo su un tema che finora era sembrato marginale nella trattativa con le parti sociali. Anzi più volte pareva non dovesse nemmeno essere tra gli oggetti del già  complicato negoziato di Palazzo Chigi. Ora è tutto più chiaro. E l’articolo 18 è fondamentale. Ha un valore simbolico: da lì passa un pezzo della credibilità  del governo sulla scena internazionale.
C’è stato un “uno due” che ha sbalordito i sindacati, costretti ad alzare le barricate ma convinti anche che non ci saranno facili vie di fuga, e sorpreso la stessa Confindustria che adesso prova ad alzare il più possibile la posta, pensando di poter stravincere. 
Prima il premier Mario Monti è andato davanti alle telecamere di Matrix non solo per ripetere che non possono esserci tabù, ma soprattutto per aggiungere che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori «può essere pernicioso per lo sviluppo dell’Italia». Difficile pensare che questa frase non sia stata ben preparata, di certo al presidente del Consiglio, economista di professione, non può essere sfuggita. Poi è arrivata la determinazione del ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ieri mattina al tavolo della Sala Verde al terzo piano di Palazzo Chigi, di fronte allo schieramento di imprenditori e sindacalisti: basta con il reintegro nel caso di licenziamenti individuali per motivi economici. E tra i due (Monti e Fornero) – di prima mattina – si era inserito il titolare dello Sviluppo economico, Corrado Passera, per dire che «in alcuni casi le tutele sono eccessive». Un gioco di squadra che chiude una fase di screzi tra i due ministri. Ma al di là  delle dinamiche interne al governo dei tecnici, quel che conta è il segnale che si vuole dare all’esterno, a Bruxelles, a Francoforte, ai mercati. «Ce lo chiede l’Europa, ce lo chiedono gli investitori internazionali», è il mantra dei ministri.
Condurre il porto la riforma del mercato del lavoro, riducendo i casi in cui il giudice decide il reintegro del lavoratore ingiustamente licenziato, rappresenterebbe il segnale di discontinuità  che viene chiesto all’Italia. Il mercato del lavoro – dopo la radicale riforma delle pensioni con il passaggio per tutti al metodo di calcolo contributivo – è il nuovo banco di prova per il governo Monti. Da qui pure i tempi stretti entro i quali il ministro Fornero ha detto che si deve chiudere il confronto: due, tre settimane al massimo.
I mercati – spiegano i ministri – chiedono «discontinuità ». Tutti sanno che non è l’articolo 18 la questione centrale nel mercato del lavoro italiano. Eppure il problema c’è. Ricorre sempre quando i grandi gruppi multinazionali spiegano perché investono poco nel nostro Paese. In un dossier riservato, il Comitato investitori esteri della Confindustria propone di «rafforzare la flessibilità  del mercato del lavoro in entrata e in uscita, sostituendo la tutela reintegratoria con un’assistenza rafforzata e con un congruo indennizzo, adottando modelli di flexicurity per la tutela e la riqualificazione degli esuberi». È, più o meno, quello che sta pensando il governo. D’altra parte se si vuol far ripartire la crescita è difficile ignorare il peso e il ruolo degli investimenti esteri. Secondo uno studio di McKinsey ogni 10 miliardi di investimenti diretti determina una crescita strutturale annua del Pil dello 0,23 per cento. E forse la nostra bassa crescita si spiega anche con il crollo degli investimenti esteri: nel 2011 sono diminuiti del 53 per cento rispetto all’anno precedente, mentre in Francia sono rimasti stabili e negli altri grandi Paesi europei sono scesi in media del solo 7 per cento.
Numeri che, comunque, non renderanno affatto più semplice la vicenda. Perché senza l’accordo dei sindacati la riforma del mercato del lavoro rischia molto in Parlamento. L’area laburista del Pd (dall’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, al responsabile economico, Stefano Fassina) si è già  fatta sentire, dopo aver dovuto digerire la riforma delle pensioni: «L’articolo 18 è ideologia, non c’entra niente con i problemi di competitività . E senza l’intesa con i sindacati ci saranno conseguenze politiche». E, fiutando l’area di possibili difficoltà  nel Partito democratico, Giuliano Cazzola, ex sindacalista della Cgil ora parlamentare del Pdl (partito che ha dovuto accettare il primo pacchetto liberalizzazioni), si è buttato subito a sostegno della proposta hard della Confindustria: reintegro nel posto di lavoro solo in caso di licenziamento discriminatorio. Per il governo il sentiero è davvero strettissimo.


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