“Si ruba ancora ma per sé ecco perché 20 anni dopo Tangentopoli non è finita”
MILANO – «Ah, ho capito, volete giocare a guardia e ladri», dice Sergio Cusani, indimenticabile imputato unico del «padre di tutti i processi» di Tangentopoli. La diretta tv dedicata al suo processo, con la carrellata di leader di partito a libro paga (Lega Nord compresa), polverizzò ogni record d’ascolto, e dette una spallata definitiva alla Prima Repubblica. «Accetto l’incontro solo se guardiamo un bel po’ al futuro, altrimenti so che perdiamo tempo, e perde tempo anche il lettore», premette il procuratore aggiunto Francesco Greco. È l’Highlander dell’antico pool Mani Pulite, il superstite di quella stagione rimasto al suo posto in procura. L’appuntamento è all’ora di colazione in un ristorante dietro il palazzo di giustizia. Di vista ci si conosce in tanti, spuntano avvocati, carabinieri, magistrati, giornalisti. Una signora spiega alle amiche: «Eh, già , sono vent’anni da Mani pulite, era il 17 febbraio del ’92 quando arrestarono Mario Chiesa. Da allora non è cambiato niente, “come prima, più di prima, ruberò”». Un collega saluta: «Vent’anni dopo, cavolo, ci pensi?, è cambiato tutto. Allora c’erano i politici, ora ci sono professori e banchieri».
Insomma, vent’anni dopo, è cambiato tutto o non è cambiato niente? «Se vogliamo capire, dovremmo fare una specie di “punto nave”», riassume Cusani, e Greco approva. I due hanno un rapporto curioso, in parte sono reduci, in parte sono proiettati al futuro: una sorta di esigenza di “fare qualche cosa” li accomuna. E Cusani – va detto – dopo il carcere (su più di 1.400 condannati, uno dei pochi a scontarlo) s’è esfiltrato da tutto, fa il consulente della Fiom e della Cgil, per un euro all’anno. Da un primo sguardo al passato viene rivelato un aspetto inedito anche per chi scrive: «No, l’arresto di Chiesa dentro la Baggina, che molti ritengono il punto di rottura, non fece scattare un particolare allarme rosso nella politica e nelle imprese. I politici si sentivano così potenti che ognuno pensava che dietro Di Pietro ci fosse un burattinaio, non si creò il panico, all’inizio, e la magistratura era considerata consonante con il potere politico», diciamo pure controllabile.
E allora, Cusani, quando capiste che si metteva male? «Quando i giornali non si fermarono. Nessuno ne fu capace». Il primo arrestato era socialista, e cioè del partito di Bettino Craxi, che il direttore Eugenio Scalfari aveva ribattezzato Ghino di Tacco, come il bandito che chiede il pizzo a ogni passaggio. Noi di Repubblica chiamammo quello che accadeva Tangentopoli, il neologismo dilagò, l’ondata giornalistica divenne uno tsunami «anche perché irruppe sulla scena della comunicazione la televisione, con le sue dirette a ritmo incessante», ricorda Cusani. E Bettino Craxi non ebbe il trattamento di favore del «giornalismo salvaguai» (copyright Clemente Mimun) di cui disporrà in seguito Silvio Berlusconi.
Segretari politici e amministrativi
Cusani aggiunge anche un’altra sfumatura: «Mentre i segretari politici si facevano la guerra in pubblico, i segretari amministrativi si sentivano in continuazione, avevano tutti il medesimo problema, mantenere gli enormi apparati territoriali dei partiti. Perciò si erano passati un’idea: “Prendiamo dall’elenco degli iscritti, che non sanno nulla, 500 nomi ogni mese, e fingiamo che ciascuno faccia una donazione sotto i 5 milioni di lire, non dichiarabili. In questo modo trasformiamo le somme in nero in finanziamenti ufficiali”, e così andò, praticamente una lavanderia legale», e sicuramente bancaria.
Man mano che emergevano concussioni e corruzioni, l’opinione pubblica si schierò contro i politici. «A volte – spiega Greco – esistono delle alchimie impreviste. Se Antonio Di Pietro riusciva a fare interrogatori impensabili, e mi ricordo la sua domanda, “Ma in punta di diritto, i soldi li hai presi o non li hai presi?”, tutto il nostro gruppo, il pool, interagiva. Colombo, Davigo, con il loro passato di inchieste difficili, io che mi ero sempre occupato di criminalità politico-finanziaria, con Icomec, Lombardfin, metropolitana milanese. Eravamo liberi e ci misero insieme e, come coordinatore, avevamo D’Ambrosio, rimasto uno “di battaglia”. E Borrelli, procuratore capo, raffinata testa pensante, a farci da chioccia. A volte, ci dicevamo, è incredibile, non resiste nessuno. E se subivamo un attacco politico, l’opinione pubblica, finalmente informata dei fatti, ci dava sostegno…».
Per chi si ruba oggi
Gli occhi chiari del magistrato Greco, al paragone con quello che accade oggi, si rannuvolano: «Oggi, quando arrestiamo qualcuno, per esempio un dirigente dell’Enel che s’era preso 20 milioni, scopriamo che si tiene i soldi tutti per sé. Allora, quando scoprivamo un episodio di corruzione in un’azienda pubblica, emergevano flussi di denaro in direzione di vari partiti. Se pure qualche somma di denaro oggi finisce al politico, resta al politico, fine. Questo è un grande cambiamento criminale che racconta però il grande cambiamento della politica. La tangente, ai tempi di Mani pulite e anche prima, era il punto d’incontro. Era la sintesi, sbagliata finché si vuole, e infatti perseguita penalmente, tra la politica e l’imprenditoria. Cioè tra due soggetti diversi… I partiti avevano allora un ruolo di mediazione tra tutti gli interessi del Paese, quello dei cittadini, dei lavoratori, delle imprese, delle chiese e via dicendo». «La storia di Tangentopoli infatti non può essere letta come un unico filo, ma è un grande ordito. Mi spiego meglio. Oggi – dice Cusani – si parla molto di “Alta velocità ” nelle ferrovie, bene, il programma degli appalti comincia prima del ’92, ma in che modo? Se c’erano cento imprese a spartirsi i lavori, in quell’occasione non si volle avere a che fare con troppi interlocutori. Venne deciso dall’alto che si doveva semplificare, e le società capofila degli appalti diventarono solo tre, Fiat, Eni, Iri, e tagliano fuori da quello che sarebbe stato il grande “appalto-paese” la Ferruzzi Montedison di Raul Gardini. E così intervengo io con i partiti».
Molte intermediazioni lasciano tracce, così come i pagamenti estero su estero, «e infatti – puntualizza il procuratore aggiunto – quasi nessuno parla dell’importanza delle rogatorie in Svizzera, ci davano velocemente gli estratti-conto». Lasciano tracce denari e bonifici, così come i gigantismi dei congressi dei partiti di governo, le campagne elettorali continue, i disinvolti comportamenti personali: i puff con i lingotti d’oro, il politico che mantiene un voto mandando un imprenditore a dare a un santuario una «elemosina che non si può rifiutare». Se fatti, reati e personaggi sono stranoti, il «punto nave» della lettura del Paese attraverso Tangentopoli che cosa dice?
Le cricche e i tecnocrati
«I partiti, screditati, perdono immagine e funzione, e gli imprenditori, con Berlusconi, entrano direttamente nella politica. Non portano più diritti e doveri dei cittadini, ma interessi privati e collettivi, dando il via anche alla politica dell’annuncio», dice Cusani. «E io dalla mia scrivania – continua Greco – non vedo più correre le mazzette tra imprenditori e politici, ma mi accorgo che alla crisi della politica corrisponde l’aumento vertiginoso della criminalità economica, con frodi, aggiotaggi, il riciclaggio. Il nuovo gangsterismo economico prospera anche senza partiti. Vedo le grandi imprese che attraverso quella che chiamano ottimizzazione fiscale sottraggono soldi alle casse dello Stato, e ridistribuiscono gli utili ai loro top manager, pagando un’aliquota prima del 12,5 per cento e ora del 23 per cento, quando sugli stipendi normali il prelievo è del 43 per cento. E magari questi bonus glieli pagano in parte anche alle isole Cayman o in qualche paradiso fiscale. Una volta, diciamo quando c’era Tangentopoli, il grande capo di una banca guadagnava cinquanta volte di più dell’usciere, ora, in questo nuovo sistema degli imprenditori entrati in politica, guadagna 250 volte, se non di più, tra superstipendio e superliquidazione».
Le cricche spadroneggiano e i favori reciproci (notti e massaggi con escort compresi), sono il sistema «gelatinoso» vigente. Ma chissà , domandiamo, attraverso il fisco, attraverso la trasparenza delle dichiarazioni dei redditi, potrà essere debellato il sistema basato sulle tangenti? Sia Greco, sia Cusani, sono meno ottimisti: «La società italiana s’è americanizzata, i partiti coincidono con i loro portavoce, Di Pietro, Casini, sino a ieri Berlusconi, o Fini, e si sono svuotati, mentre le lobby prendono il potere. Mai – puntualizza Cusani – si era visto, prima di oggi, un grande banchiere tradizionale come ministro economico, o no?». «Se le corporazioni si sono fatte Stato, se tassisti, notai, farmacisti e altri si ribellano, chi è rimasto a proteggere diritti e doveri?», domanda retorico Greco. «Si parla tanto dell’articolo 18, ma non mi pare che sia quello della licenziabilità il primo problema. Noi magistrati da anni chiediamo che, per il bene del Paese e del cittadino, la vicenda di Tangentopoli servisse a inquadrare meglio lo spessore dei reati, per punire il falso in bilancio, per comprendere la pericolosità delle frodi finanziarie, per tutelare il risparmiatore che ha avuto fiducia di imprenditori e banche. Nel frattempo, la corruzione è stata superata dal traffico di influenze, dal pubblico ufficiale che approfitta della propria funzione e del proprio ruolo. In America infliggono trent’anni di carcere, qui da noi nessun governo osa affrontare la questione. Solo che queste disuguaglianze sociali, in così forte aumento, mi ricordano un po’ il clima che c’era negli anni Novanta. C’è gente che rivuole la legalità , difende il diritto di vivere dignitosamente, onestamente».
Si fischia, si manifesta, la disoccupazione e il posto fisso che sparisce mettono angoscia e il «punto nave» dei due sembra dirci che vent’anni dopo Tangentopoli, e dopo le bugie di Berlusconi sullo «state tranquilli, la crisi non esiste», noi italiani siamo ancora in mare aperto: questo, in fondo, un po’ lo sapevamo. Però Greco e Cusani, testimoni del crollo della prima Repubblica, nell’orizzonte cercano a sorpresa una stella. Quella della Politica, e chissà se spunterà .
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