“Migliaia di aziende al via Il posto fisso ai giovani? Imparino a creare lavoro”

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ROMA – «Internet sarà  l’equivalente di quello che negli anni ‘50 era l’automobile. Allora si intuiva che con l’automobile sarebbe cambiato il modo di vivere e la forma stessa delle nostre città . Ed è quello che avvenne: assieme all’auto sono arrivate la fabbrica, l’autostrada, il nuovo commercio. Una nuova economia partì da un elemento specifico. Quel ruolo oggi ce l’ha Internet che non è un sistema di cavi e computer ma una cosa che cambia le nostre vite, le relazioni fra i cittadini, la Pubblica Amministrazione». Quando parla dell’Agenda Digitale il ministro Francesco Profumo guarda lontano e si entusiasma. 

Un anno fa cento esponenti della Rete firmarono un appello per una Agenda digitale: ora ci siamo, finalmente? 
«Giovedì ci sarà  la prima riunione della cabina di regia istituita dal presidente Monti. Ma le prime cose sono partite».
Il decreto Semplificazioni sposta tante operazioni sul web. Rischioso: il 40% degli italiani rifiuta di usare Internet. 
«Le cose stanno cambiando. Qualche giorno fa ero in una scuola del Sud dove i libri di testo sono stati sostituiti da un libro che studenti e docenti realizzano assieme, destinando all’acquisto dei computer i soldi risparmiati. Bene, quei ragazzi hanno portato in casa dei pc e stanno insegnando Internet a genitori e nonni. E’ un processo che non si ferma». 
Lei sostiene che è più importante portare la vecchia Rete a tutti, piuttosto che la Rete superveloce a pochi. 
«Per trasformare il Paese serve una azione democratica. Tutti devono essere coinvolti, anche se le tecnologie non sono ottimali. E quindi va azzerato subito il digital divide che riguarda sei italiani su cento. E poi vanno privilegiati gli spazi pubblici». 
Lei punta molto sulla disponibilità  dei dati pubblici: un sito nazionale c’è ma non è ancora decollato. Perché? 
«L’Open Data è un problema di cultura. Mettere un documento in Rete è utile solo se i dati sono scaricabili e riutilizzabili da tutti. Così i dati generano altri dati e può nascere un’economia di applicazioni civiche. Quante applicazioni per telefonino c’erano un anno fa? E oggi? E’ una cosa che sai dove inizia ma non dove finisce».
Basterebbe intanto stabilire che tutti i dati pubblici sono pubblici davvero, senza bisogno di altri passaggi. 
«Vorrei intanto che il mio ministero diventasse un esempio di buone pratiche che possono diventare patrimonio di tutti».
E saranno pubblici anche i risultati della ricerca finanziata dai soldi pubblici?
«L’ho fatto quando ero rettore al Politecnico di Torino. Lo farò anche qui». 
Ma la prima operazione-trasparenza dovrebbe farla il governo pubblicando gli incarichi e i potenziali conflitti di interesse dei ministri. E’ a costo zero. 
«Lo stiamo facendo: i dati saranno a disposizione di tutti entro un paio di settimane al massimo». 
La sua Agenda Digitale punta molto sulla partecipazione dei cittadini attraverso la Rete: finora si sono viste solo le e-mail sul sito del governo dove una bambina di due anni esalta “nonno Mario”. Farete cose più concrete?
«In tempi brevissimi faremo un primo prototipo per la scuola che con 800 mila docenti, 8 milioni studenti e 30 milioni di persone coinvolte ha più bisogno di comunicare in modo nuovo. Per questo abbiamo selezionato alcuni giovani per studiare nuove forme di comunicazione fra le comunità  scolastiche». 
Si riferisce ai 6 ricercatori con meno di 40 anni, selezionati fra quasi 600 domande, che da oggi sono nel suo staff?
«Sono il seme del nuovo, possono aiutarci a cambiare la Pubblica Amministrazione senza fratture introducendo una cultura diversa. Per questo la stessa operazione ora la farà  il ministro Barca, e l’ho consigliata ai sindaci Renzi e Fassino». 
Torniamo alla sua Agenda. Il traguardo sono le Smart Cities: per alcuni è solo uno slogan.
«Invece sarà  lo strumento per trasformare le tante esperienze, positive ma isolate fatte in giro per l’Italia, in prototipi per un progetto Paese. A partire dalla scuola dove il rapporto docente-discente si rovescerà  e tutti potranno uscire dal microcosmo della classe per incontrare il mondo attraverso la Rete». 
Come governo avete al massimo un anno davanti: basterà  per far partire l’Agenda Digitale? 
«Sì perché il processo è maturo, sta sotto le foglie, dobbiamo solo farlo emergere. E’ una cosa che sta nel sangue dei giovani. A noi spetta delineare gli elementi base: poi indietro non si torna». 
Non tutte le cose che avete previsto sono a costo zero. 
«Studiamo le modalità  di finanziamento con la Cassa Depositi e Prestiti. Nel frattempo nei prossimi giorni uscirà  un primo bando da 200 milioni sulle comunità  intelligenti, riguarda 8 regioni del Sud: ogni regione dovrà  specializzarsi su un settore. A fine primavera toccherà  al Centronord. Se i prototipi funzionano, cambia il Paese». 
Come esattamente?
«Se saremo bravi nasceranno tante startup tecnologiche che, con un po’ di capitale di rischio che stiamo trovando, possono diventare imprese solide e formare nuovi distretti industriali. Anche qui, serve una svolta culturale: il nostro ruolo è formare bravi cittadini del mondo che fra le altre cose siano capaci non di trovarsi un lavoro, ma di creare lavoro».


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