by Editore | 6 Febbraio 2012 4:41
Stress, “burn out” da lavoro, assenteismo alle stelle? Può darsi, ma non date la colpa al blackberry, né alla mail sempre accesa: questi strumenti rassicurano gli adulti, e non per colpa loro se trasmettono notizie brutte o ansiogene. Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e psicoterapeuta, docente a Milano Bicocca, invita non confondere tecnologia e realtà .
Lo stress da lavoro dipende da un eccesso di connessione?
«Non credo. Il fatto di essere sempre reperibili consola le persone più di quanto non le affatichi. Allo stesso modo un’occhiatina su Facebook mentre si è in ufficio può essere benefica e costituire una pausa. Essere a disposizione, inoltre, evita spostamenti inutili e consente, per esempio alle donne, di sentirsi in pace con la coscienza anche da casa».
I dati sul “burn out” sono sopravvalutati?
«No, ma a creare disagio psicologico sono le cattive notizie – l’azienda che rischia di chiudere, la paura di essere licenziati, i conti in rosso – e non le tecnologie che ci permettono di venirle a sapere. Non dubito che moltissimi lavoratori possano sentirsi stressati, ma la colpa è della crisi economica».
E’ utile valutare il rischio da stress, come la legge obbliga a fare, anche in Italia, da poco più di un anno?
«Certamente sì. In quasi tutti i luoghi di lavoro ci sono grandi margini di miglioramento, ed è giusto guardare ai rischi psicologici così come si guarda, per esempio, a quelli di infortunio o di incendio. Piccoli cambiamenti, come consentire i contatti con la famiglia, nella direzione del comfort e della tolleranza in ufficio, possono dare grandi risultati. Ma il rischio-zero non esiste, e l’obiettivo non deve essere quello, non realistico, di abolire del tutto lo stress da fabbriche e uffici».
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