“I greci non sopportano il diktat tedesco quelle misure però sono inevitabili”

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ROMA – «Si può capire la reazione popolare: la Grecia viene da 5 anni di recessione e la popolazione non si spiega come da misure così penalizzanti potrà  uscire qualche risultato di crescita. E non sopporta il fatto che sono norme imposte dalla Germania». Christopher Pissarides, docente alla London School of Economics e premio Nobel 2010, è nato nel 1948 a Cipro da una famiglia greca. Guarda con amarezza ai travagli della sua gente ma anche alle perplessità  espresse dal governo tedesco sull’efficacia delle sofferte misure dell’altra notte: «È uno scontro politico, di dominio dell’Europa del nord su quella del sud. Quando si troverà  il modo per gestire politicamente la questione, si appianeranno le incomprensioni anche con l’Italia».
Quello che fanno trasparire i tedeschi è che dei greci non si fidano. Lei lo farebbe dopo l’inganno sui conti?
«Guardiamo con realismo a quel che accadde allora. C’è una larga componente di equivoco. Non si trattò di un marchiano inganno: c’era fretta di ampliare l’euro e non si stava a guardare troppo per il sottile. Dopo Maastricht nessuno rispettava alla lettera il trattato: ricorda che l’Italia e il Belgio avevano un debito triplo del consentito, come peraltro ancora hanno? Si sono inventate espressioni come “finanza creativa” o “linea di tendenza” per mascherare inadempienze clamorose. Perfino la Germania ha sforato il 3% ed è stata perdonata».
Le misure varate bastano a garantire l’integrità  dell’euro?
«Forse sì. Il rischio è fortissimo. Resto convinto che se salta la Grecia, si smantella l’intero euro. Mi conforta la forte determinazione dei due partiti maggiori ad andare avanti e sono fiducioso che alla fine la popolazione capirà  che non può accanirsi contro il Parlamento che lavora per i suoi interessi».
Dando per assunto che servirà  al più presto una fase 2, come giudica nel merito i provvedimenti?
«Inevitabili. Atene ha solo due alternative: farsi male o farsi molto male, cioè uscire dall’euro. Ma è sulla rapidità  di passaggio alla fase 2 che ho dei dubbi».
Perché?
«Ci sono riforme urgenti che per veti incrociati tardano ad arrivare. Solo quella delle pensioni è passata pur con una tempistica inadeguata: certo, non si va più a 55 anni ma la progressività  è lenta. Almeno è stato introdotto il metodo contributivo. Per le altre riforme si sta perdendo tempo prezioso, dalle liberalizzazioni alle semplificazioni per rendere attraente il mercato, fino all’esazione fiscale: non è questione di nuove tasse, bisogna essere in grado di riscuotere quelle dovute».
Sembra l’Italia…e il discusso taglio al salario minimo?
«Probabilmente permetterà  agli imprenditori di abbassare i prezzi, favorendo per esempio il turismo, e di assumere più persone. Sono misure dure, ma se si saprà  inserirle in un quadro organico garantiranno la permanenza della Grecia nell’euro, la condizione perché il Paese riesca prima o poi a riprendersi».


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