“Hanno spinto Maria al suicidio” in manette la famiglia della pentita

by Editore | 10 Febbraio 2012 10:36

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REGGIO CALABRIA – Botte e pressioni psicologiche continue. Minacce e psicofarmaci. Con sullo sfondo il terrore per il futuro dei sui tre bambini. Tutto per farla ritrattare. Per farle dire che i magistrati della Dda di Reggio Calabria aveva approfittato della sua fragilità  inducendola a mentire. Fino ad agosto scorso, quando si è uccisa ingerendo acido muriatico. La storia drammatica di Maria Concetta Cacciola, la testimone di giustizia suicidatasi a Rosarno è stata ricostruita dalla Procura di Palmi. Una vicenda che emerge dalle pagine dell’ordinanza con cui, su richiesta del procuratore Giuseppe Creazzo e del pm Giulia Masci, il Gip ha mandato in carcere i genitori della donna, Michele Cacciola e Anna Rosalba Lazzaro, ed il fratello Giuseppe (ricercato), accusati di essere i suoi aguzzini. «Se le pagine del processo – scrive il gip – non fotografassero una realtà  brutale e soffocante, si potrebbe credere di leggere l’appassionante scenografia di un film». Ma questa è una storia vera. Il padre di Maria Concetta è cognato di Gregorio Bellocco, il boss della famiglia legata al clan Pesce. E a casa sua la ‘ndrangheta si respira ogni istante. 
Una vita opprimente quella di Maria Concetta, con i familiari sempre a controllarla. E quando, nel 2010, col marito in carcere, alcune lettere anonime ai genitori l’accusarono di una relazione extraconiugale, cominciano le botte. Esasperata, a maggio 2011 la donna decide di fuggire e inizia a collaborare. Sa che la sua vita non sarà  più la stessa, per questo affida i figli alla madre: «Dove non c’è l’ho fatta io so che puoi .. Ma di un’unica cosa ti supplico, non fare l’errore mio. A loro dai una vita migliore di quella che ho avuto io». La «famiglia» però non perdona. E quando fa l’errore di tornare a casa per amore dei bambini e per tentare di portarseli via cominciano le pressioni per indurla a ritrattare. I genitori, secondo l’accusa, per smentire quanto aveva detto ai magistrati, le fanno scrivere una lettera e la obbligano a registrare un messaggio sotto dettatura. A metà  agosto la donna contatta i carabinieri del Ros e chiede di tornare a collaborare. Devono risentirsi per organizzare la fuga. L’ultimo contatto è del 18 agosto. Due giorni dopo il misterioso suicidio.

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