“Hanno spinto Maria al suicidio” in manette la famiglia della pentita

Loading

REGGIO CALABRIA – Botte e pressioni psicologiche continue. Minacce e psicofarmaci. Con sullo sfondo il terrore per il futuro dei sui tre bambini. Tutto per farla ritrattare. Per farle dire che i magistrati della Dda di Reggio Calabria aveva approfittato della sua fragilità  inducendola a mentire. Fino ad agosto scorso, quando si è uccisa ingerendo acido muriatico. La storia drammatica di Maria Concetta Cacciola, la testimone di giustizia suicidatasi a Rosarno è stata ricostruita dalla Procura di Palmi. Una vicenda che emerge dalle pagine dell’ordinanza con cui, su richiesta del procuratore Giuseppe Creazzo e del pm Giulia Masci, il Gip ha mandato in carcere i genitori della donna, Michele Cacciola e Anna Rosalba Lazzaro, ed il fratello Giuseppe (ricercato), accusati di essere i suoi aguzzini. «Se le pagine del processo – scrive il gip – non fotografassero una realtà  brutale e soffocante, si potrebbe credere di leggere l’appassionante scenografia di un film». Ma questa è una storia vera. Il padre di Maria Concetta è cognato di Gregorio Bellocco, il boss della famiglia legata al clan Pesce. E a casa sua la ‘ndrangheta si respira ogni istante. 
Una vita opprimente quella di Maria Concetta, con i familiari sempre a controllarla. E quando, nel 2010, col marito in carcere, alcune lettere anonime ai genitori l’accusarono di una relazione extraconiugale, cominciano le botte. Esasperata, a maggio 2011 la donna decide di fuggire e inizia a collaborare. Sa che la sua vita non sarà  più la stessa, per questo affida i figli alla madre: «Dove non c’è l’ho fatta io so che puoi .. Ma di un’unica cosa ti supplico, non fare l’errore mio. A loro dai una vita migliore di quella che ho avuto io». La «famiglia» però non perdona. E quando fa l’errore di tornare a casa per amore dei bambini e per tentare di portarseli via cominciano le pressioni per indurla a ritrattare. I genitori, secondo l’accusa, per smentire quanto aveva detto ai magistrati, le fanno scrivere una lettera e la obbligano a registrare un messaggio sotto dettatura. A metà  agosto la donna contatta i carabinieri del Ros e chiede di tornare a collaborare. Devono risentirsi per organizzare la fuga. L’ultimo contatto è del 18 agosto. Due giorni dopo il misterioso suicidio.


Related Articles

Il mondo degli iperpoliglotti

Loading

Ma non sempre il cocktail di idiomi diventa cultura

UN CALVARIO SENZA FINE

Loading

Assolti agenti e infermieri perché il fatto non sussiste; qualche condanna ai medici per omicidio colposo: si chiude il processo di primo grado per la morte di Stefano Cucchi. Dunque un caso di malasanità, uno come tanti, con la sola specificità dell’essersi verificato in un luogo di detenzione. Tutto qui: una vicenda «normale» come appare «normale», anche se colpevole, l’incuria rispetto ai soggetti difficili da trattare perché refrattari alle cure mediche.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment