Psichiatri in Rete contro la legge che chiude i manicomi

by Sergio Segio | 12 Febbraio 2012 13:31

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Va bene, si chiudono – ma chissà  se e quando – dei luoghi ignobili gestiti in modo infame, gli ospedali psichiatrici giudiziari, ma se ne apriranno tanti altri, “piccoli e carini” e sarà  un passo indietro che non vogliamo, così come non lo abbiamo voluto alla chiusura dei manicomi. Una tragedia».
Chi non si unisce alle trombe, peraltro in parte umanamente comprensibili, suonate con l’approvazione del decreto che prevede la chiusura dei manicomi criminali è Franco Rotelli, psichiatra, a lungo direttore dei servizi psichiatrici triestini. Soprattutto «compagno di banco» di Franco Basaglia, braccio destro, cioè, dello scienziato che diede nome e sostanza alla legge 180, quella che decretò la fine dell’istituzione manicomiale nel nostro paese. Con Rotelli sono scesi in campo tanti altri psichiatri che con Basaglia hanno condiviso quella lunga marcia di liberazione. Medici, specialisti, infermieri, psicologi, intellettuali stanno in queste ore sottoscrivendo on line la petizione che toglie il decreto dall’altare sul quale è stato collocato anche da una popolarissima condivisione di un intento nobile: cancellare un orrore intollerabile durato troppo a lungo, dichiarato dalle istituzioni europee «luogo di tortura», una macchia nera sull’immagine dell’Italia.
«Il fatto è che sull’onda dell’emozione viene spacciata una realtà  diversa da quella che si verrà  facilmente a creare se le disposizioni del decreto verranno attuate – lamenta Rotelli – in netto contrasto con lo spirito e la cultura che hanno pilotato la 180». Basaglia, Rotelli, Dell’Acqua non si batterono per chiudere il manicomio smaltendo il disagio mentale in tanti altri piccoli lager più puliti e più «umani»; mai più manicomi, si disse, né grandi né piccoli, ma assistenza sul territorio, abolendo il pregiudizio della pericolosità  sociale della sofferenza mentale. «E invece – prosegue Rotelli – questo decreto si incarica di cementare quel pregiudizio: tuttavia, non si è pericolosi socialmente perché si è “disturbati” ma perché si delinque. In Italia ci sono circa 600mila persone che soffrono di disturbi mentali gravi, ma solo uno su mille commette reati. Dove sta la pericolosità  sociale?».
Il decreto prevede che ogni regione si attrezzi in vista della chiusura dei vecchi manicomi criminali; strutture con una quarantina di posti letto (moltiplicate per venti-trenta?), affidate alla cura del personale medico e infermieristico mentre le forze di polizia dovrebbero realizzare, ma all’esterno, una cintura di sicurezza. «Ed ecco – annota lo psichiatra – che di nuovo al medico viene imposto il ruolo di carceriere. Basta pensare che moltissimi centri di diagnosi e cura sono già  luoghi di con tenzione: chiavistelli chiusi, elettrochoc. Non è abbastanza per pensarci su come l’argomento merita»?
Tutti fuori, allora? Compresi i pluriomicidi, compresi quelli che hanno ammazzato moglie e figli? Tutti nelle strutture territoriali di assistenza? «Un momento, non è ciò che vogliamo – spiega Rotelli -. Chi ha commesso un reato punibile col carcere deve scontare la sua pena, matto o non matto. La legge punisce il reato non la persona. Chi ha ucciso stia in carcere per il tempo deciso dal tribunale e qui sia seguito, curato, aiutato a capire, a cambiare. Ma se il crimine non meritava la detenzione, allora che il cittadino sia semplicemente affidato alla rete di assistenza territoriale». Quindi, il delitto torni nella piena competenza della magistratura e delle istituzioni carcerarie, il disagio mentale, invece, stia a pieno titolo nelle mani della psichiatria e dell’assistenza.
Ma questo percorso ha un costo, ovviamente. «Ottima osservazione: tuttavia, questo decreto prevede che siano spesi 120 milioni di euro per allestire i nuovi piccoli manicomi, mentre altri cinquanta milioni vadano impiegati per la parte corrente, per la gestione delle strutture. Calcolando – riflette Rotelli che sono 1400 circa i detenuti degli attuali manicomi criminali, si può osservare che vengono spesi circa 50mila euro per ciascuno di loro. E qual è la struttura sanitaria che non si farebbe carico di seguire un paziente per quella cifra?». Ma se il giudice ha rilevato che le condizioni mentali di un cittadino sono incompatibili col carcere? «Bene, allora che si armino situazioni alternative anche per i cardiopatici, i diabetici gravi etc etc. Come vedi, nemmeno la destra deve preoccuparsi della nostra posizione: sosteniamo che il delitto deve pagare dove decide il giudice, spesso in carcere, quindi, non in un manicomio piccolo e carino come prevede il decreto».

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