Prima la crescita poi il rigore così l’America di Obama sta vincendo la sfida alla crisi

by Editore | 17 Febbraio 2012 7:58

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NEW YORK – Altri 80.000 posti di lavoro sono andati persi per i giovani in Italia, nei primi 9 mesi dell’anno scorso. In America invece la disoccupazione è ai minimi da quattro anni: il numero dei senza lavoro è sceso del 13%. In un solo mese, gennaio, 243.000 posti di lavoro sono stati aggiunti negli Stati Uniti, al netto dei licenziamenti. In tre mesi la creazione media di nuova occupazione non è mai scesa sotto le 200.000 unità  mensili. E’ la fotografia di due “continenti alla deriva”, che si allontanano fra loro. Per la dinamica economica l’Atlantico si allarga, le distanze crescono. Europa e Stati Uniti tornano a divergere profondamente: euro-depressione contro ripresa Usa. E’ la conseguenza di strutture economiche diverse ma anche di scelte politiche. Barack Obama non ha mai accettato i diktat dell’austerity, neppure quando venivano dalla triplice pressione dei mercati, delle agenzie di rating, e della destra repubblicana maggioritaria alla Camera. Ora i risultati sono visibili. La crisi dell’eurozona si generalizza, contagia anche la Germania. Perfino il colosso tedesco perde colpi, il suo Pil è arretrato nell’ultimo trimestre del 2011 segnando meno 0,7%. L’intera eurozona è arretrata dello 0,3%. Le previsioni vengono di nuovo ritoccate in ribasso anche per il 2012. Gli Stati Uniti invece hanno ritrovato una crescita del 2,8% nel quarto trimestre del 2011, e la disoccupazione è scesa all’8,3% (dopo aver toccato il 10% all’apice della crisi). Il mercato del lavoro Usa da 23 mesi consecutivi registra un saldo netto positivo, più assunzioni che licenziamenti. 
Non era scontato che fosse l’America a ripartire per prima anticipando l’Europa. Il crac sistemico del 2008 aveva avuto il suo epicentro negli Stati Uniti, il tracollo di interi settori dell’economia come l’immobiliare aveva toccato punte più estreme rispetto all’Europa. La crisi dei conti pubblici non aveva risparmiato gli Stati Uniti, che l’estate scorsa sembrarono sull’orlo di un default tecnico (sia pure provocato da un braccio di ferro tra Casa Bianca e Congresso). Cos’ha reso possibile il “decoupling”, cioè lo sganciamento delle due economie, la divaricazione tra le due sponde dell’Atlantico? Oggi il “decoupling” lo registra perfino Wall Street: l’andamento della Borsa Usa è tornato a obbedire a logiche interne, non reagisce più alle notizie sulla crisi dell’eurozona e il possibile default della Grecia.
Diversi fattori hanno contribuito a spingere Europa e America in due direzioni opposte. La tradizionale flessibilità  dell’economia Usa gioca un ruolo nell’amplificare le oscillazioni, ma non è l’elemento scatenante: la flessibilità  fa ripartire più velocemente le assunzioni solo se le imprese hanno bisogno di assumere; il carburante della crescita viene da un aumento della domanda, cioè consumi delle famiglie, investimenti, spesa pubblica. L’andamento dei consumi in America è positivo ma non eccessivo, anzi le famiglie stanno approfittando della ripresa per ridurre i debiti e ritrovare una propensione positiva al risparmio. Il “credito facile” della Federal Reserve è un potente lubrificante, in azione ormai da tre anni, tuttavia non sembra che questa sia una ripresa “drogata”, perché l’indebitamento privato si è ridotto rispetto agli eccessi del 2007. La Bce di recente ha iniziato una politica di sostegno alle banche e iniezione di liquidità  che ricalca quella della Fed, ma i suoi effetti sono cominciati solo dalla presidenza di Mario Draghi. Resta il ruolo dello Stato, dove la differenza tra le due sponde dell’Atlantico è la più marcata. Da due anni Obama ha moltiplicato i suoi allarmi, rispetto alla scelta strategica fatta dalla Germania di imporre un’austerity prima ancora che sia tornata una crescita sana e durevole. «La via della ripresa non si trova a furia di tagli», ha ammonito ancora di recente il presidente americano. Eppure le pressioni per “germanizzare” la politica economica sono state poderose anche negli Stati Uniti. Forte della sua vittoria alle elezioni di mid-term (novembre 2010), che gli ha dato la maggioranza alla Camera e una minoranza di blocco al Senato, il partito repubblicano ha cercato di focalizzare il dibattito nazionale esclusivamente sul problema del deficit pubblico. Gli ha dato man forte Standard&Poor’s con il downgrading che ha tolto la “tripla A” ai Treasury Bond americani. Eppure Obama ha resistito. La sua ricetta – prima la crescita, poi ridurremo il deficit – è resa più facile dalla leadership degli Stati Uniti e dal ruolo unico del dollaro sui mercati finanziari. Altri paesi non reggerebbero la fiducia dei mercati con un deficit pari all’8,5% del Pil. Tuttavia Washington sa anche manovrare spregiudicatamente il dollaro al ribasso quando serve a incentivare una “re-industrializzazione”. Tra le storie di intervento pubblico riuscito spicca la General Motors che ieri ha annunciato un profitto record: 7,6 miliardi di dollari di utile netto, per un’azienda che era stata in bancarotta. Gli operai della Gm ora riceveranno un assegno di 7.000 dollari a testa come partecipazione ai risultati. Obama non ha fretta di rivendere il suo pacchetto di azionista di riferimento (26% del capitale), può aspettare a farlo quando incasserà  una plusvalenza maggiore per il contribuente americano.

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