by Sergio Segio | 14 Febbraio 2012 18:38
Chi ha seguito i notiziari negli ultimi giorni sarà giunto all’ovvia conclusione che noi portoghesi non siamo come i greci. Nella giornata di ieri c’è stata una battaglia campale tra i manifestanti e la polizia greca nella famosa piazza Syntagma, e intanto i partiti politici ellenici si scontrano ferocemente sul nuovo pacchetto di austerity.
Qui in Portogallo, invece, esiste un ampio consenso politico, che raggruppa più dell’80 per cento dei deputati; è stato stipulato un accordo sociale per concretizzare le riforme del mercato del lavoro pretese dalla troika, con un aumento della flessibilità nei licenziamenti; il governo e i socialisti hanno concordato la riduzione nel numero dei giorni festivi e nelle ferie; l’ammontare del sussidio di disoccupazione è stato rivisto al ribasso; la legge sugli stipendi è stata modificata e le partecipazioni statali in Edp e Ren sono state cedute a capitali cinesi. Tutto questo – e molto altro – è stato fatto senza che si verificasse alcuna tensione, né tanto meno violenze di piazza.
Insomma, per tutte queste ragioni, il Portogallo non è la Grecia. Ma non è detto che tutti la pensino così. In Europa si fa strada l’idea che il Portogallo non sarà in condizione di tornare sui mercati nel 2013. In questo senso è illuminante il dialogo tra i ministri delle finanze tedesco e portoghese, intercettato da Tvi: durante l’incontro Wolfgang Schà£uble ha parlato della possibilità che il piano portoghese venga modificato, garantendo al suo omologo che in tal caso la Germania sarà pronta a collaborare. Curiosamente, l’indiscrezione è bastata a infiammare i mercati e a far schizzare alle stelle i tassi d’interesse sul debito sovrano.
Non dobbiamo illuderci. L’idea che le cose andranno necessariamente per il verso giusto è pericolosa, perché ci sono molte variabili che non possiamo controllare. Per esempio, in Europa potrebbe verificarsi una recessione più profonda di quanto si pensi in questo momento. Tenendo conto del collasso del paese che è stato la culla della democrazia, l’Unione europea ha bisogno di un caso esemplare per dimostrare che le politiche di austerity difese dalla troika funzionano. Il Portogallo potrebbe essere l’esempio perfetto.
Tuttavia dobbiamo essere preparati all’eventualità che prima di concederci ulteriori aiuti finanziari la troika ci chieda altri dolorosi sacrifici. Per avere un’idea basta osservare i dieci comandamenti che Ue, Fmi e Bce hanno imposto ai partiti greci. A noi non hanno ancora chiesto la riduzione del salario minimo (che è inferiore a quello greco, 485 euro contro 750), la soppressione di tredicesima e quattordicesima nel settore privato, la riduzione delle ferie pagate e i tagli alle pensioni per gli statali. E non è ancora passata l’ossessione per la cancellazione della Tassa sociale unica.
Il fatto che i mercati capiscano che non siamo uguali alla Grecia è molto positivo. Ma questo non significa che dobbiamo pensare di avere la strada spianata. Il cammino verso la salvezza è ancora irto di ostacoli.
Traduzione di Andrea Sparacino
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