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La tv è moribonda. L’agonia avviene così in fretta che non ci sarà  il tempo per celebrarne i funerali. Sta accadendo proprio qui in America, nel regno dei network, nella culla del “cable”, delle news 24 ore su 24 e dei canali tutto-sport, dei reality, delle serie a puntate che hanno plasmato la cultura di massa nel mondo intero. Non si tratta solo del tramonto della tv “generalista” (archeologia industriale…), ma anche dei canali tematici, del satellite, dei “bouquet” per abbonati via cavo. Tutto ciò che chiamiamo “televisione”, anche nei suoi formati e sviluppi più recenti, è in via di estinzione. Non i contenuti: quelli si stanno trasferendo su Internet, ma così facendo l’intero settore cambia pelle e adotta nuovi linguaggi, mentre le gerarchie di potere sono sconvolte, il modello di business è rivoluzionato. 
L’equivalente delle attuali “reti” tv si chiameranno Google (YouTube), Apple, Amazon, Netflix. I numeri di questa transizione sono impressionanti. Nel dicembre 2011 per la prima volta YouTube ha oltrepassato la soglia di 1.000 miliardi di “contatti” per i suoi video, e quest’anno prevede un balzo verso vette ancora più stratosferiche, anche grazie all’elezione presidenziale: perché cresce il numero di contenitori e contenuti di attualità  politica che prendono direttamente la via di Internet senza neppure transitare attraverso i vecchi network tv. 
I primi sintomi di questo fenomeno erano stati avvistati da tempo: sotto i 20 anni, esiste un’intera “generazione senza” telespettatori di tipo tradizionale, cioè quelli abituati a sedersi davanti a uno schermo e a fare zapping col telecomando in mano. Tanti giovani americani ignorano dalla nascita quella dipendenza passiva dai palinsesti: si fanno la loro tv su misura, “à  la carte”, selezionando su YouTube i programmi che li interessano e passandoseli fra amici grazie a Facebook e altri siti sociali. Ma adesso YouTube e gli altri non si accontentano più di essere dei motori di ricerca. Diventano i nuovi centri della produzione e distribuzione di programmi tv, oltre che della raccolta pubblicitaria. 
Scordatevi l’epoca in cui YouTube era sinonimo di video “virali” con bebè che sghignazzano, gattini esilaranti, e video musicali di modesta qualità  acustica. «Ben presto il 90% di tutto il traffico online sarà  occupato dai video – ha annunciato lo stratega di YouTube Robert Kyncl al Consumer Electronic Show di Las Vegas – un dato che dovrebbe far riflettere l’industria dello spettacolo». Sempre secondo le previsioni elaborate nel quartier generale di Google, entro il prossimo decennio il 75% di tutti i canali tv saranno creati su Internet. Canali! Non singoli video. 
Il Nordamerica continua ad essere all’avanguardia nelle rivoluzioni tecno-sociali, e anche in questo caso è probabile che il resto del mondo finisca per imitare il modello più avanzato. Già  oggi in media ogni canadese guarda online 251 video al mese tra film, sport, musica, informazione. Negli Stati Uniti il consumo raggiunge 204 video ogni mese. YouTube ne sta traendo le conseguenze: ha lanciato 100 milioni di investimenti in produzioni video originali, alleandosi con grandi nomi che spaziano da Disney all’agenzia stampa Reuters, passando per la casa cinematografica Lionsgate e il rapper Jay-Z. Le tv si affannano a rincorrere questa tendenza, e a loro volta moltiplicano le offerte in streaming, cioè via Internet: programmi che si possono scaricare in diretta sul pc, sull’iPad, sul telefonino. E’ una lotta contro il tempo, anche perché nel mondo dei video online gli spot pubblicitari stanno crescendo al ritmo del 42% annuo.
La velocità  con cui i grandi network televisivi sono avviati al declino, ispira qualcuno a celebrare con toni nostalgici la fine di un’epoca. L’esperto di tecnologia del Wall Street Journal, Kevin Sintumuang, ha trasformato la sua column in una ironica lettera di addio. I toni sono quelli con cui ci separa dopo la fine di un lungo amore: «Cara tv via cavo, lasciami dire che non è colpa tua, dipende tutto da me. Sono cambiato in questi anni. Raramente sto a casa. E quando ci sono, non ho lo sguardo incollato ai programmi tv in diretta. Ho arretrati di settimane da smaltire, nel mio videoregistratore. Ma soprattutto, se mi rilasso su un divano con un telecomando, è su Internet che vado a cercare lo show o il film che mi interessa. Mi dispiace. Questa è semplicemente la realtà . Ti lascio, cable-tv». 
Nella lettera d’addio c’è una verità  tecnologica. La morte della tv soppiantata dallo streaming online, non significa la fine dello schermo a cristalli liquidi o Hd-plasma, non comporta la rinuncia alla qualità  dell’immagine, non costringe ad affaticare gli occhi sullo schermo più piccolo di un computer. No, il grande schermo che avete installato in salotto a Natale non è da buttare via. “Taglio il cordone ombelicale”: questo slogan lanciato sul Wall Street Journal si riferisce a un altro pezzo di hardaware che rischia di finire in soffitta, il cavo coassiale insieme con la scatoletta nera del decoder per i segnali cable o satellitari. «Ti ho amato davvero – scrive ancora Sintumuang – Da bambino. Da adolescente. Anche all’università  ho continuato a esserti fedele. Dai programmi per l’infanzia di Nickelodeon alla musica di Mtv, dallo sport su Espn ai film di Hbo. Dal giorno in cui i miei genitori mi lasciarono guardare la tv fino a quando litigavo con mia moglie per il controllo del telecomando, la mia vita dentro la pop culture sarebbe stata sminuita senza di te». 
Ma ora lo stesso telespettatore non sa più che farsene di quelle centinaia di canali, affollati a tutte le ore con dozzine di cloni di “AmericanIdol”o “Ballando con le stelle”, “Isola dei famosi” e “Jersey Shore” più gli chef con le ricette di cucina, i documentari sul regno animale, la fitness. «O è troppo o è troppo poco». Quando una cosa t’interessa davvero, puoi essere sicuro di trovarla su Internet. La prova: da quest’anno perfino il SuperBowl – l’evento sportivo più seguito in assoluto – è andato in onda in streaming. La tecnologia ha già  “liberato” da tempo Internet dalla schiavitù del computer. Nelle case degli americani hanno fatto il loro ingresso delle scatolette nuove. Hanno il logo della Apple, o quello della Sony. Possono servire per collegarsi con Internet, trasferendo le immagini su qualsiasi schermo (nel caso della Sony, lo stesso apparecchio che serve come console per i videogiochi scarica in streaming film e programmi televisivi). Ma il cambiamento non è solo tecnico. Il medium è il messaggio anche in questo caso. Tutti i paradigmi della televisione saltano, se è Internet il vettore dei contenuti. Lo hanno capito i nuovi protagonisti che si affacciano con prepotenza in questo business. Netflix, il leader nell’affitto di Dvd, si sta riconvertendo a gran velocità  verso la vendita online: non solo film, anche serie televisive. Amazon sta facendo la stessa cosa con la sua colossale libreria di Dvd. E ovviamente Apple è in grado –grazie alla scatoletta di cui sopra – di offrire il suo ipermercato virtuale iTunes: film, programmi tv, musica. Anziché essere vincolati dai palinsesti dei network, la tv ce la facciamo noi, scegliendo di volta in volta da un catalogo che si espande alla velocità  della luce. Il passo successivo, è quello già  intrapreso da YouTube che presto sarà  impegnato a “produrre” 25 ore al giorno di nuovi contenuti originali. L’unico problema, per il momento, riguarda quelle zone sprovviste di collegamenti Internet ad alta velocità : un servizio lento può significare che il film richiesto ci mette parecchi minuti ad essere scaricato; o peggio ancora, la scena si ferma sul più bello mentre lo schermo aspetta la “ricarica”. Un inconveniente reale, ma destinato a scomparire, tanto più che il collegamento wi-fi può offrire le stesse prestazioni senza investimenti in reti di cavi a fibre ottiche. 
La direzione di marcia è questa. Su YouTube e altri protagonisti di Internet stanno migrando a gran velocità  non solo i creatori di contenuti “di nicchia”, ma gran parte dei nuovi canali. Compresi i più popolari tra i giovani, come i tre canali creati da Ray William Johnson, una nuova star dei teenager, un attore-autore e anchorman la cui specialità  è proprio il commento sui video “virali” del momento. Audience: un miliardo di contatti, e 5,3 milioni di abbonati.


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