by Editore | 24 Febbraio 2012 9:38
PALERMO – I magistrati che indagano sulla trattativa fra Stato e mafia ritengono di aver trovato la prova che l’ex ministro Calogero Mannino avrebbe esercitato pressioni, fra il ’92 e il ’93, per la revoca del carcere duro ad alcuni padrini di Cosa nostra. Ecco perché gli hanno fatto notificare dalla Dia di Palermo un avviso di garanzia, in cui si ipotizza il reato di “violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario”: è la stessa accusa mossa nei confronti di tutti gli altri protagonisti di questa indagine, mafiosi del calibro di Riina e Provenzano, uomini delle istituzioni come il senatore Marcello Dell’Utri e il generale dei carabinieri Mario Mori.
A chiamare in causa Mannino sarebbe un testimone, per un episodio ben preciso. Nulla di più filtra dal rigido segreto investigativo: il misterioso testimone potrebbe essere uno degli uomini delle istituzioni convocati dai pm nell’ultimo giro di audizioni. Nell’avviso di garanzia (firmato del procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai sostituti Nino Di Matteo, Paolo Guido e Lia Sava) si parla genericamente di «pressioni» che Mannino avrebbe esercitato «su uomini delle istituzioni», «affinché non fossero adottati e prorogati provvedimenti di 41 bis nei confronti di detenuti di mafia». È il cuore dell’indagine sulla trattativa: è ormai accertato che i mafiosi chiedevano la revoca del carcere duro per mettere fine alle stragi, ma non è ancora chiaro chi trattò dalla parte delle istituzioni.
Lunedì pomeriggio, Mannino dovrà presentarsi in Procura, per rispondere alle domande dei pm. Lui, già reduce da un processo e da un’assoluzione per mafia, si dice sereno: «Se non fosse il testo dell’invito a comparire lo considererei uno scherzo o un delirio». Ieri pomeriggio, dopo la notizia dell’avviso di garanzia anticipata da Repubblica.it, l’ex ministro Dc oggi deputato iscritto al gruppo misto ha ricevuto la solidarietà del capogruppo del Pdl alla Camera: «C’è uno spirito vendicativo da parte degli inquirenti contro Mannino», dice Fabrizio Cicchitto. È intervenuto anche Pier Ferdinando Casini: «Sono molto sorpreso per questo avviso di garanzia».
La figura di Mannino era già emersa nei mesi scorsi durante l’inchiesta sulla trattativa: il nome dell’esponente democristiano era stato trovato al Viminale in cima a una lista di politici nel mirino di «strategie destabilizzanti» ed «eventi omicidiari»; a stilare il documento (nel marzo ’92, dopo l’omicidio del Dc Salvo Lima) era stato l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi. Secondo i magistrati, quell’allerta avrebbe segnato l’inizio della trattativa: per evitare altri omicidi eccellenti (con Mannino erano ritenuti a rischio anche Carlo Vizzini, Salvo Andò e Sebastiano Purpura), alcuni uomini delle forze dell’ordine si sarebbero mossi, su input politico. È ancora un mistero cosa accadde per davvero, ma il muro dell’omertà sembra adesso scricchiolare.
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