Part time al maschile, carta per il lavoro

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Piuttosto, il lavoro fisso è una chimera, qualcosa di quasi irraggiungibile, ma che ogni ragazzo agogna, e tutti i genitori si augurano per i loro figli. Eppure, negli anni della crescita economica milioni di persone hanno cambiato lavoro: lasciando l’agricoltura per lavorare in fabbrica o nei servizi, il lavoro dipendente per mettersi in proprio, il lavoro operaio per quello impiegatizio. Con la crisi, invece, chi ha un lavoro fisso si guarda bene dal rischiare. 
Se la crescita economica ripartirà , aumenteranno anche le persone che cambiano lavoro, si libereranno posti per i giovani, e le imprese riprenderanno a contendersi i lavoratori migliori. Ma non si può solo aspettare che il vento cambi. Proprio in questi momenti di difficoltà , vanno introdotti mutamenti normativi, per permettere al mercato del lavoro di cogliere al meglio — quando arriveranno — i venti della ripresa. Va quindi riformato un mercato del lavoro che oggi ha come punto di riferimento l’uomo che fino a vent’anni studia, dedica al lavoro dieci ore di tempo al giorno per cinque giorni la settimana da venti a sessant’anni, dedica alla famiglia solo piccoli ritagli del suo tempo, e a sessant’anni chiude del tutto con il lavoro. 
Le norme vanno modificate aumentando la flessibilità  del tempo del lavoro. Innanzitutto, il part time (verticale e orizzontale) dovrebbe diventare qualcosa di accessibile per tutti. Ma oggi il part time non viene concesso volentieri dalle imprese, perché — anche se non porta a costi aggiuntivi diretti — causa forti costi impliciti nell’organizzazione del lavoro. 
Per evitare questi problemi, al part time potrebbero essere concessi sgravi contributivi simili a quelli dati oggi a chi assume un apprendista. È fantascienza proporre che questi sgravi siano maggiori se il part time è richiesto da un uomo? Sarebbe un segnale che lo Stato considera in modo positivo la condivisione maschile del lavoro domestico. 
Anche in Norvegia, Svezia e Danimarca, trent’anni fa, gli uomini a casa non facevano quasi nulla. Poi — grazie anche alla spinta di norme innovative — a poco a poco la mentalità  è cambiata, e sono molto più numerosi i padri che hanno scoperto le gioie della cura della casa e dei figli. 
Un’altra importante innovazione potrebbe essere incentivare i tempi misti dedicati al lavoro e allo studio. Anche in questo caso, si potrebbero risarcire le aziende con sgravi contribuitivi. Se i soldi pubblici per questo tipo di politiche fossero pochi o inesistenti, si potrebbe permettere al lavoratore di «compensare» l’impresa con una parte del suo Tfr, il trattamento di fine rapporto. 
Infine — sempre individuando le opportune misure compensative per le imprese — nell’ultima parte della vita lavorativa andrebbero incentivate le forme miste di lavoro e pensione. Si eviterebbero da un lato il peso del tempo pieno per gli ultrasessantenni, dall’altro lo choc psicologico del tempo vuoto successivo al pensionamento: da quaranta a zero ore di lavoro dall’oggi al domani. 
Sono solo alcuni esempi per rendere più flessibile il tempo del lavoro e della vita. Anche su queste cose si costruisce un’Italia più moderna e meno ripiegata sul passato.


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