Parlare con i Taleban: un gioco dietro le quinte

by Editore | 9 Febbraio 2012 9:46

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Questa strategia di uscita, concordata dalla Nato alla fine del 2010, poggiava su due pilastri: la «transizione», cioè il passaggio della responsabilità  della sicurezza dalle forze occidentali a quelle afghane, e la «riconciliazione» con i ribelli antigovernativi. Il presidente Hamid Karzai l’ha presentato come un processo politico interno. Ma il gioco – un negoziato con i Taleban – è stato condotto per lo più altrove. 
Di recente è stato annunciato che i Taleban apriranno una rappresentanza in Qatar, da cui potranno condurre i colloqui diretti con gli Stati uniti per arrivare a una riconciliazione con il regime di Kabul. E’ il risultato di un anno di tentativi propiziati dalla Germania e dall’emirato del Qatar. Secondo il giornalista pakistano Ahmed Rashid, uno dei più esperti della scena afghana, «i colloqui andranno avanti perché non ci sono alternative per finire la guerra». Però «manca una vera strategia politica», diceva Rashid giorni fa al summit sulla sicurezza tenuto a Monaco. As esempio: Karzai vuole un accordo strategico con gli Stati uniti perché mantengano nel paese una presenza militare oltre il 2014, sotto forma di consiglieri e addestratori militari, a garanzia di sicurezza. Ma questo sarebbe inaccettabile per i Taleban: «Mullah Omar troverà  difficile far digerire ai suoi combattenti l’idea della riconciliazione. Gli sarebbe impossibile fargli accettare l’idea di coabitare con gli americani». La presenza di truppe straniere e l’accordo politico con i Taleban sono incompatibili. Un accordo politico tra Kabul e i Taleban avverrà  solo quando le truppe straniere saranno partite, nota Rashid: «A Washington e a Bruxelles non c’è abbastanza considerazione di questo rompicapo strategico». 
Senza contare che anche le potenze vicine – Cina, Iran e Pakistan – sono sospettose delle intenzioni Usa: una strategia politica richiederà  un dialogo tra i vicini dell’Afghanistan, per limitare le future interferenze. Il Pakistan è un elemento di incertezza in sé, considerate le burrascose relazioni con gli Usa – e però è una delle parti più coinvolte, visto che la leadership Taleban si trova sul suo territorio. E poi: nonostante i solenni discorsi di «riconciliazione», Karzai «non ha saputo creare un consenso nazionale» sul dialogo con i Taleban; i pasthoon sono in genere favorevoli, e i non pashtoon allarmati: «Le divisioni etniche potrebbero esplodere dopo il 2014. Alcuni esperti predicono addirittura una guerra civile», avverte Rashid. Senza contare il precipizio economico a cui il paese sembra destinato, quando gli occidentali avranno levato le tende e quindi gli aiuti e gli investimenti. 
Così, i comandi della Nato danno un’immagine positiva delle cose: sostengono (almeno al pubblico: non sappiamo se ci credano davvero) che la situazione è sotto controllo, migliora, e che l’esercito nazionale afghano è pronto a accollarsi le sue responsabilità . I Taleban sono convinti del contrario, che loro stanno vincendo. E il ritiro delle truppe occidentali sarà  il momento della verità .

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