Palladio e Sator vanno all’attacco 450 milioni per salvare Premafin

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MILANO – Ad una settimana dall’annuncio sulla quota dell’8% di Fonsai, Sator-Palladio hanno alzato la posta presentando un’offerta vincolante su Premafin: prendere o lasciare (è valida fino all’8 marzo) con un’ipotesi complessiva di ristrutturazione del gruppo che ovviamente comprende anche Fonsai. 
Vediamo le tappe. Il primo passaggio è l’aumento di capitale su Premafin, riservato per 400 milioni a Sator e Palladio, e per 50 milioni agli attuali azionisti Premafin (che, da ieri, sono anche ufficialmente per il 70% la famiglia Ligresti). Ove gli azionisti, famiglia e mercato, non seguissero la quota di loro spettanza c’è comunque la garanzia del consorzio di Banca Profilo (Sator). Punto fondamentale è la ristrutturazione del debito Premafin e dunque «l’accordo con le banche finanziatrici» (che, per la holding, sono essenzialmente Unicredit, Mediobanca, Ge, Banco Popolare e Bpm). Insomma, anche loro dovrebbero fare la loro parte, convertendo una parte del debito in azioni. Comunque, esplicita il comunicato, alla fine del percorso di aumento di capitale i due fondi di private equity dovranno avere non meno del 60% del capitale ordinario Premafin. 
L’altro punto caldo è che anche al piano di sotto, di Fonsai, ci sia «una contestuale ridefinizione dell’indebitamento subordinato della controllata Fonsai». E qui entra in gioco direttamente Mediobanca, ispiratrice del piano alternativo (quello che vede in campo Unipol) ed esposta nei confronti di Fonsai con un prestito subordinato di poco superiore al miliardo. L’operazione proposta ieri prevede una serie di condizioni sospensive, tra cui «l’approvazione delle banche finanziatrici del piano di ristrutturazione del debito, a termini e condizioni ritenuti soddisfacenti» da Sator e Palladio. Dunque, le banche devono dire sì e altrettanto deve fare la Consob: la proposta infatti è subordinata al fatto che non debba essere lanciata un’opa su Premafin, Fonsai o Milano assicurazioni. 
Sull’altro piatto della bilancia, sottolinea il comunicato congiunto, c’è «una più equa ripartizione degli oneri» tra le varie categorie, dunque «tra le banche finanziatrici di Premafin e i creditori subordinati di Fonsai»; altro elemento-chiave, il piano «consente di valutare una potenziale riduzione dell’aumento di capitale Fonsai, per effetto dei benefici sul margine di solvibilità » che derivano dal fatto che non si realizza più la fusione tra Premafin e Fonsai (prevista dall’accordo con Unipol). In buona sostanza, su Fonsai non verrebbe così a gravare l’indebitamento di Premafin e anzi si dovrebbe arrivare ad una ristrutturazione del debito anche da parte di Mediobanca, presente in forze proprio nella compagnia di assicurazioni.
I termini per dire sì o no sono stretti, entro l’8 marzo. Per quella data occorrerà  capire l’orientamento della famiglia Ligresti che in questo schema non potrà  esercitare il recesso, ma resta con una quota probabilmente più alta nella Premafin, rispetto allo schema-Unipol, sempre che possa e voglia seguire l’aumento di capitale. E altrettanto essenziale se non di più è capire l’orientamento – vincolante – delle banche finanziatrici. Stringendo ancora di più, si tratterà  di capire cosa vogliono fare Unicredit e Mediobanca (ieri l’ad Alberto Nagel aveva detto che «la stella polare» che guida il giudizio di Mediobanca nella vicenda è «la solidità  e la durevolezza della situazione finanziaria e industriale relativa alla compagnia»). Infine, resta l’incognita Consob e l’esenzione dall’opa. Anche in questo caso, il sì non è scontato.


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